Ciao. Mi chiamo Marco, 47 anni, oncologico. Sono morto nel 2012. Melanoma.
Ho iniziato a suonare da ragazzino; ascoltavo roba buona – Neil Young, la PFM – quando gli altri ascoltavano ancora le canzoni dello Zecchino d’Oro.
Forse per questo in classe non legavo con nessuno, se non con quelli tagliati fuori come me.
Ma io avevo già una band e la barba folta a sedici anni. E sono stato bravo a schivare le droghe che giravano, ah, se giravano…
La mia famiglia era liberale, io mi sono scoperto anarchico, ma non mi sono mai messo in nessun casino: semplicemente non credevo a nessun imbonitore.
Ho preso una laurea, continuato a suonare, fatto un corso di sommelier, trovato una compagna.
Poi un giorno mi trovo un brutto neo, su una coscia; la sinistra, per la precisione. Me lo faccio togliere.
Mi richiamano: devono allargare e togliere i linfonodi all’inguine, mi spiegano, perché quel neo era un melanoma.
Che palle! Anche i linfonodi sono positivi! Mi si gonfia la gamba tutte le sere!
Ma dicono che va bene, basta fare il follow-up, che sono arrivati in tempo.
Così ok, andiamo avanti, torniamo a una vita normale.
Conosco un prete; fa volontariato, ma sul serio! E tutto il giorno sgobba per gli altri, quelli che hanno bisogno di una mano e di tutto il resto. Non ho mai bazzicato preti, chiese e parrocchie, ma quest’uomo è diverso, ha luce negli occhi; così diventiamo amici.
È Pasqua. Sono a casa.
Uffa! Ho la tosse da qualche giorno e non passa. Che sia il tempo schifoso dopo che c’è già stata qualche giornata di caldo? Stanotte ho anche fatto fatica a dormire, come se non riuscissi a respirare bene…
Oddio, e se fosse… ma no, dai, sono passati cinque anni, anche l’ultimo controllo sei mesi fa era a posto…
Vado al Pronto Soccorso, mi fanno una lastra… cazzo! È tornato! Il bastardo è tornato!
Devo stare dentro, ho i polmoni pieni. Mi drenano via 3 litri di schifo, mi fanno il talcaggio, ho due drenaggi, si infettano, mi danno gli antibiotici, mi mettono l’ossigeno.
Finalmente sto meglio e mi mandano a casa dopo quasi un mese, ma devo tornare tra un po’, quando avranno studiato il caso e pianificato la strategia di difesa.
Difesa… Non parlano neanche di attacco… vuol dire che dobbiamo solo subire e limitare i danni?
Eppure adesso sto meglio, faccio solo fatica un po’ a respirare.
Torno dentro in reparto e viene un mio amico a trovarmi. Non ci vedevamo da anni… era il mio compagno di banco del liceo, tagliato fuori come me, musicista come me. Sta lì tutto il pomeriggio e parliamo dei nostri vecchi eroi e miti, degli amici, delle nostre vite.
Rievochiamo il nostro primo concerto, a 15 anni, in un teatro parrocchiale. Non volevano neanche farci suonare: la serata era di un gruppo di liscio che non ci voleva fra le scatole, così abbiamo montato i nostri strumenti giù dal palco, di lato, e ci hanno «gentilmente» concesso 4 canzoni prima della loro esibizione. Due di Neil Young che ho cantato io e due scritte da noi che ha cantato lui. Poi io ho continuato a suonare tanto, in tante band. Lui per strade diverse, ma sempre suonando.
Glielo confesso. «Non voglio morire» gli dico. Lui mi sorride con gli occhi tristi, la voce che non esce e mi abbraccia. «Non morirai!» mi fa «Noi non moriremo mai.».
Era un mercoledì.
Sono soffocato la notte dopo. Ma aveva ragione: la nostra anima, la nostra musica non morirà mai.
Racconto di Paolo Pisi, medico legale di ASST Mantova