Il Consultorio di Goito ha organizzato un ciclo di incontri tutto al femminile, condotto dalle assistenti sociali Roberta Pasotti e Leonarda D’Apolito e dalla psicologa Elisabetta Fronzoli. Il gruppo, che si è soprannominato Fight club, ha realizzato un’esperienza di scrittura collettiva, dalla quale è nato il racconto a più mani che pubblicheremo a puntate in questa rubrica. Il titolo del racconto è ‘Ritratto allo specchio e altri volti’. Le altre puntate sui prossimi numeri di Mantova Salute.
Dalle persiane filtravano sorrisi di luce, Eleonora si stiracchiò ed aprì gli occhi, scese dal letto e aprì le imposte. Un’ondata di luce inondò la stanza e lei si sentì avvolgere dall’azzurro del cielo. Una “giornata meravigliosa” pensò Eleonora. Sì, una meravigliosa giornata e lei era pronta per partire. (AnnaB.)
Non aveva ancora pensato a cosa le sarebbe servito veramente. La valigia restava lì, aperta sul letto, quasi a chiederle con cosa dovesse essere riempita, quasi come una grande bocca aperta in attesa di essere sfamata. Aveva sempre sognato di fare un viaggio da sola; proprio lei che davvero sola non lo era stata mai. Cosa si aspettava che potesse cambiare? Cosa si lascia quando si parte? Cosa avrebbe raccontato alle amiche che non vedevano l’ora di partire con lei? Ma lei in viaggio lo era già, sin dal primo momento in cui quella partenza l’aveva pensata, e quella giornata sapeva di buono. Allora pensò: costi quel che costi, “It’s my life and it’s now or never”! (A. A.)
Si sentiva libera di prendere qualsiasi decisione senza doversi confrontare e chiedere il parere di nessuno. Era tranquilla rilassata, aveva gettato l’orologio non doveva nemmeno lottare con il tempo, solo la luce del sole e della luna avrebbero scandito la sua giornata. Iniziò col farsi bella: doccia, capelli, trucco, ma per chi? Per sé stessa. Tutta bella tornò in stanza e ancora sul letto c’era la valigia che aspettava. Non sapendo se la destinazione fosse mare, montagna o città d’arte era difficile selezionare i capi e le scarpe più idonei e quindi pensò di metterci i buoni propositi, intanto. Devo portare con me il buon umore, il mio sapere, la fede e l’amore per me stessa per gli altri, per la mia terra e provo a lasciare a casa la tristezza, la rabbia e l’ansia. Era soddisfatta della scelta che aveva fatto la valigia sembrava quasi piena anche se non aveva ancora messo nulla. Il tempo era tanto e tutto per lei e questa era la sua più grande ricchezza. (Roberta Benatti)
Eleonora pensò che da molto tempo desiderava fare un viaggio a tappe per non farsi mancare nulla! Sarebbe andata al mare dove avrebbe potuto riposarsi e fare lunghe camminate al sole; sarebbe andata anche in montagna a fare trekking o a sciare sulle piste. Desiderava anche prendersi cura di lei e quello che ci voleva era una bella “remise en forme”. Quindi avrebbe soggiornato anche alle terme! Nel frattempo avrebbe potuto pensare quali città desiderava maggiormente conoscere.
Vi erano luoghi che avevano sempre esercitato molto fascino su di lei, li percepiva come magici e intriganti… Sino ad ora li aveva solo immaginati con l’aiuto di qualche buona lettura e viaggiando virtualmente sul web nei siti specializzati. In realtà Eleonora desiderava conoscere l’anima più profonda dei luoghi dove intendeva andare, non voleva un tour “mordi e fuggi” da turista. Avrebbe avuto tempo per conoscere, osservare e vivere senza dover pianificare quanto tempo si sarebbe fermata in questo o quel luogo.
Arrivò quindi ad una conclusione ascoltando il suo cuore e i suoi desideri. Decise, quindi, di mettere in valigia degli abiti comodi, passepartout con i quali avrebbe potuto cambiare look velocemente in base alle situazioni. Non potevano mancare un paio di jeans, un camicione, trasformabile in mini-abito con l’ausilio di una cintura. Due costumi da bagno, un pareo e un foulard. Il suo inseparabile “chiodo” in pelle, qualche gonna di morbida seta, impalpabile e leggera. Svariate t-shirt di varie fogge, un maglione e un piumino reversibile e impermeabile. Scarpe comode per camminare, infradito per il mare e un paio di stivaletti. Avrebbe noleggiato l’attrezzatura per lo sci, pensò; voleva evitare scomode valigie pesanti e sentirsi leggera, anche nel suo bagaglio. In ogni caso, strada facendo, si sarebbe presentata l’occasione per acquistare qualche abito di foggia particolare, ne era certa!
Aveva desiderio di cambiamento…e quale migliore occasione di un viaggio per agire i cambiamenti? Pensò anche alle persone che avrebbe incontrato e conosciuto nel suo viaggio e si mise a fantasticare in quali situazioni sarebbero potuti accadere questi incontri.
Accompagnata da questi pensieri che prendevano il volo come palloncini, si ritrovò con la valigia pronta! Ora non le rimaneva che acquistare il primo biglietto aereo che l’avrebbe portata… dove? Sicuramente … in un altro continente! Aprì il suo portatile e consultò i suoi siti preferiti, i siti che proponevano mete particolari, i siti vetrina che aveva sempre guardato con curiosità e ammirazione… in attesa della partenza. Scelse la sua prima destinazione: il Perù e la civiltà Inca. Sull’onda dell’entusiasmo, prenotò anche il volo interno per Cuzco. Eleonora immaginò che da lì si sarebbe diretta al Machu Picchu e al lago Titicaca. In effetti avrebbe conosciuto i siti archeologici della civiltà Inca, i sentieri di montagna, i paesaggi, i villaggi andini, per arrivare infine, al lago navigabile più alto del mondo, il Titicaca. Da lì avrebbe poi potuto concedersi il mare del Messico, pensò Eleonora…e visitare i siti della civiltà Maya.
Decise di rimanere fedele al suo proposito di non pianificare tutto il suo viaggio ma di procedere a tappe. Aveva deciso di assecondare i suoi desideri e di lasciarsi guidare da ciò che viveva nel presente.
Partenza per il Perù con arrivo a Lima e volo interno diretto a Cuzco! Alle amiche avrebbe detto la verità; Eleonora aveva preso coscienza che almeno una volta nella vita doveva viaggiare da sola e vivere la sua esperienza di viaggio e di ricerca interiore.
Questo era già un buon punto d’arrivo, pensò Eleonora e si augurò “Buon Viaggio”! (AnnaB.)
Eleonora arrivò all’aeroporto; non passava di certo inosservata con i boccoli rossi che le scendevano sulle spalle, era veramente piacevole! Si notava però la sua agitazione, era la prima volta che intraprendeva un viaggio tutta sola. Non sapeva bene come muoversi; in realtà, anni prima, aveva già preso un volo intercontinentale, … allora c’erano gli amici a farle compagnia.
Ecco era al check-in – si parte davvero questa volta – pensò Eleonora. Si ritrovò seduta vicina ad un giovane che aveva ottenuto il posto dal lato del finestrino. Fortunato, pensò Eleonora che avrebbe preferito occupare quel posto e si sporse per vedere fuori. Il giovane intuì che Eleonora avrebbe preferito quel posto e, da cavaliere qual era, si offrì per lo scambio. Eleonora non se lo fece dire due volte e accettò sfacciatamente.
Dopo il decollo, passata la tensione iniziale, ripresero la conversazione. Il giovane si presentò, si chiamava Diego, e chiese a Eleonora dove fosse diretta. Eleonora rispose che avrebbe voluto visitare i siti archeologici peruviani e arrivare sino al lago Titicaca; l’idea poi era di proseguire verso il Messico, visitare i luoghi della civiltà Maya per arrivare alla spiaggia di Cancun…Non conosceva esattamente il motivo ma, si sentiva molto attratta da quei luoghi, spiegò.
Eleonora si rese conto improvvisamente di essere attratta da Diego, lo trovava gentile e carino. (RobyBoscaini)
Diego era un ragazzo dalla carnagione scura, occhi e capelli neri, i lineamenti leggermente marcati non nascondevano un sorriso dolce e sincero. Si sentiva attratta da questo uomo per la sua gentilezza, per aver compreso al volo il suo desiderio di guardare il cielo e la terra dal piccolo oblò dell’aereo, per come l’aveva ascoltata con interesse, sembrava quasi seguirla in quei luoghi, condividendo il suo entusiasmo. Che strana sensazione!
Aveva passato anni a sentirsi incompresa, a volte inadeguata. Cercava approvazione negli altri, come se loro le facessero da specchio. E aveva imparato a tacere, aspettare, rimandare, accettare le sue frustrazioni e solitudini. E proprio ora che aveva trovato il coraggio di fare di testa sua, di prendere e partire, di non chiedere niente a nessuno e fare tutto da sola.. ecco che si presenta al suo fianco un uomo interessante, genuino, dallo sguardo acuto e sensibile.
“No, impossibile! Non me lo posso permettere.” pensò “Non ora, non qui, non la nuova me. Dopo anni di storie sbagliate, ho finalmente imparato a guardare la vita solo con i miei occhi, con il mio cuore, con le mie forze. E poi non credo ai colpi di fulmine, né all’uomo giusto, né all’amore che dura.” Quella strana attrazione non la convinceva e aveva così deciso di restare sulle sue, di far finta di niente e non rivolgergli più la parola, di leggere un libro, approfondire lo studio dei luoghi che avrebbe visto e poi finalmente dormire. Tante ore di volo sarebbero state la sua notte di sonno, per poi arrivare a destinazione, prendere un taxi, trovare un alberghetto, darsi una rinfrescata e mettersi subito in marcia.
Tuttavia Diego si girò verso di lei e la guardò così a lungo, almeno così le sembrò, che lei dovette ricambiare lo sguardo e, come fosse la cosa più naturale e spontanea, si sorrisero lievemente. Iniziò a raccontarle di lui, incuriosendola sempre più.
Stava tornando a casa, in un piccolo paese del Perù, dopo un anno e mezzo in giro per il mondo, in cerca di nuovi luoghi, realtà, culture e forse anche di se stesso. L’Italia gli era piaciuta molto, sognava di tornarci presto e magari vivere lì per qualche anno. Aveva la sensazione di essersi perso qualcosa di quei posti unici e meravigliosi, di quella gente allegra e amichevole, di donne bellissime e sensuali. Ma sua sorella presto si sarebbe sposata e lui doveva e voleva essere lì quel giorno. E poi aveva voglia anche di rivedere la sua anziana mamma e i suoi cinque fratelli maggiori, la sua gente, gli odori della sua infanzia.
Quante cose si stavano raccontando? Perché spesso con uno sconosciuto tutto sembra più facile? “Mi sono innamorata di questa frase anche se non so ancora bene perché: “Là troverai la via, se avrai il coraggio di perderti”. Sono contenta, sai? Sento di aver trovato il coraggio di questo viaggio… e di chiacchierare con te.” (SJ.)
Fu così che i due continuarono a chiacchierare, o meglio, a raccontarsi l’un l’altra. In poco tempo, con frasi semplici e quasi liberatorie, riversarono ognuno la storia della propria vita, non esimendosi dal raccontare in modo spontaneo anche dettagli che mai avevano rivelato ad altri.
Per Eleonora fu tutto semplice e spontaneo, ma poi all’improvviso, un campanello della sua coscienza la mise in allerta: lei era stata trasparente, ma Diego, lo era stato? Forse sì, le era sembrato così istintivo, affabile, simpatico, gentile…
“Signore e signori, la compagnia aerea è lieta di annunciarvi che la fase di atterraggio si è conclusa: benvenuti in Perù”
Fu così che i dubbi e le paure di Eleonora vennero bruscamente scansati, ancora una volta, dalla realtà. Infatti ora doveva preoccuparsi di un semplice dubbio che da sempre attanaglia le donne basse e robuste come lei: come avrebbe potuto recuperare il bagaglio dalla cappelliera? Qualcuno l’avrebbe aiutata? Forse Diego… no, lui era già andato avanti, stava ringraziando la giovane hostess, e stava scendendo dall’aereo…Senza nemmeno salutarla!
Eleonora scese e, quasi inconsapevolmente, si trovò al bar a ingurgitare una cioccolata calda con doppia panna… ovviamente sapeva che non stava facendo ciò per saziare la sua voglia di conoscenza dei prodotti tipici del Perù, ma per reprimere la rabbia di una conoscenza subito sfumata.
Subito si sentì in colpa e, ancora una volta, si chiuse in se stessa, passando l’intera giornata nella stanza d’albergo, sempre più triste. Fece lo stesso anche il secondo giorno, in maniera completamente apatica.
Solo il terzo giorno trovò la forza di reagire: sarebbe andata subito al lago Titicaca!
Secondo l’itinerario quella avrebbe dovuto essere l’ultima tappa, quella pensata per concludere in bellezza, ma ora non importava, sarebbe stata la prima, per iniziare con il botto!
Eleonora era stufa di dover sempre aspettare per appagare i suoi desideri. Non poteva rimandare ancora. Doveva essere padrona della sua vita? Benissimo, non avrebbe certo potuto iniziare con un’attesa, con un lontano miraggio!
Così, mossa dall’ennesima, ma comunque esplosiva, voglia di rinascita affrontò il viaggio su un pulmino sgangherato e sovraffollato di persone e pure di animali! Mai, a Mantova, avrebbe pensato di poter riuscire a sopportare certi odori e certe condizioni: ora invece queste non le sembravano neppure difficoltà, ma semplici e naturali questioni di adattamento.
All’ultima fermata le porte del bus, si spalancarono di fronte a lei, l’ultima passeggera rimasta, e i suoi occhi non potevano credere a tanta meraviglia: le acque del lago brillavano, l’aria fresca le accarezzava il volto e i lama, che pascolavano vicino alla riva, sembravano accoglierla con un sorriso.
Si sedette lì, con i piedi nell’acqua fresca, chiuse gli occhi e per la prima volta si sentì veramente padrona di se stessa, della sua mente, del suo corpo, dei suoi sforzi, dei suoi fallimenti e delle sue piccole conquiste. Poi fu quasi cullata da una leggera musica: dei flauti stavano suonando in lontananza tipiche musiche peruviane.
Si sforzò di capire da dove provenisse quella melodia. Ecco, laggiù, un gruppo di bellissimi mantelli colorati danzavano vicino ai falò: c’era sicuramente una festa. Eleonora questa volta non esitò ad andare: sapeva che i peruviani erano persone ospitali e di certo l’avrebbero accolta con piacere.
Non appena arrivò, infatti, anche se nessuno la conosceva e parlava l’inglese, le offrirono un dolce, un delizioso picarones, e la invitarono ad unirsi alle loro danze. Il linguaggio del cibo e della danza erano proprio universali!
Fu così, passando da un braccio all’altro durante un ballo che incrociò lo sguardo, il suo sguardo. Diego. Certo, ora le era tutto chiaro! Il matrimonio della sorella. Quella era la festa della cerimonia. Eleonora voleva sprofondare, era incredula.
Diego era lì, anche lui sbigottito e palesemente imbarazzato.
I loro sguardi si incrociarono nuovamente, Eleonora fece un passo verso di lui, ma subito dopo si arrestò.
Al fianco dell’uomo era ora arrivata una bellissima donna dai lunghi capelli neri e dagli occhi profondi che con una mano reggeva due tazze di fumante mate, e con l’altra spingeva una carrozzina con un bimbo tetraplegico.
Una voce inconscia cercò di darle una speranza: “Tranquilla, sarà una sua amica”
Eleonora però non si illuse, oggi, purtroppo, la fede al dito di Diego era particolarmente lucida e scintillante. (Graziella G. e Benedetta C.)
Eleonora prese coraggio, si avvicinò e disse: “Che bella festa!” Diego rispose: “È il matrimonio di mia sorella di cui ti raccontavo…. Vieni, ti presento mia cognata Milagros e suo figlio Pedro. Eleonora si stampò in faccia uno dei suoi sorrisi dolci in segno di saluto.
Eleonora si allontanò un attimo dalla festa, si accese una sigaretta e da lontano si mise a guardare quella splendida famiglia in festa. Sì, guardava anche Diego che faceva ballare Pedro con la carrozzina e pensava a quanto era bello, sensibile e travolgente. Percepiva il suo animo umile, dolce e carino e questa cosa l’attirava sempre di più… La curiosità era tanta per quel bel peruviano conosciuto da poco. Vide da lontano Diego avvicinarsi e il suo cuore incominciò a battere all’impazzata ma cercò di controllarsi per non far trapelare nulla. Diego si sedette vicino a lei in riva al lago, lei lo guardò e gli sorrise…
Eleonora chiese subito a Diego perché Pedro fosse in carrozzina e lui le rispose che era nato così da una malformazione congenita e spiegò che la ragione dei suoi frequenti viaggi in tutto il mondo era dovuta alla ricerca di qualche innovativa scoperta per poter aiutare suo nipote ad acquisire più autonomia. Eleonora pensò che era il destino che gli aveva fatti incontrare…Eleonora, lavorava in ospedale come infermiera e, spiegò a Diego, aveva molte conoscenze nell’ambito medico, perciò l’avrebbe aiutato molto volentieri nelle sue ricerche. Diego sentendo quelle parole si avvicinò di più e l’abbracciò forte forte ringraziandola. Eleonora molto imbarazzata si staccò e prese dalla borsa un foglietto dove scrisse il suo indirizzo email e gli disse di contattarla.
Guardò l’orologio e vide che stava per perdere l’ultimo pulmino disponibile per far ritorno all’albergo, salutò velocemente Diego e scappò via di corsa. Durante il viaggio pensava a Diego, al suo abbraccio e alle sensazioni forti e travolgenti che aveva e che continuava a provare.
All’improvviso si accorse che aveva dimenticato la borsa sulla spiaggia ma, ormai era tardi per far fermare il pulmino. Intanto sulla spiaggia Diego si accorse della borsa dimenticata da Eleonora, dalla borsa sporgeva un biglietto da visita di un albergo. Egli pensò che probabilmente doveva essere l’hotel dove alloggiava Eleonora, così prese il primo taxi libero e si diresse verso l’hotel “Miraflores”.
Diego arrivò subito dopo il pulmino, vide Eleonora davanti all’albergo e la chiamò. Lei si giró e sorpresa se lo vide lì bello come il sole, con la sua borsetta in mano; felicissima lo abbracciò e per ringraziarlo del gesto lo invitò a prendere qualcosa da bere nella hall dell’albergo. Diego le chiese cosa volesse da bere e lei disse che avrebbe preso quello che avrebbe scelto lui. Diego ordinò due Pisco Sour, tipico cocktail peruviano. Lei intanto pensava tra sé e sé…” ma io sono astemia, cavoli!” … Ma poi ripensò e disse a se stessa: ” Eleonora sei qui per divertirti e ritrovare te stessa, quindi smettila di fare la bambina e buttati”. Eleonora dopo due sorsi si sentiva già strana, molto allegra e disinibita. (Mary A.Kodie)
Mai, pensò Eleonora, avrei pensato di bere. Eppure è bastato il sorriso di Diego a farmi cambiare idea. “Non sto correndo troppo?” si chiese. Combattuta se lasciarsi andare o ritirarsi nella sua stanza, scelse di ringraziare Diego e tornare in camera. Si lasciarono con l’accordo di ritrovarsi.
“Che bello”, pensò mentre saliva le scale, “che sorriso, e la gentilezza”? Mentre si perdeva in questi pensieri arrivò in camera, sciolse i capelli, si liberò delle scarpe e si buttò sul letto. Ai bei pensieri per Diego, Eleonora alternava le sensazioni dei primi giorni trascorsi nella terra degli Inca, a quel lembo di terra tra il mare e la foresta, alla gente così solare e dignitosa, al tramonto nelle acque trasparenti del Lago.
In taxi l’autista le aveva chiesto: “Senorita, qui mas le gusta del Perù?” In quel momento sorrise e con le mani aperte e il palmo in su, rispose come per dire -non so- ma, dopo pochi giorni, dopo aver conosciuto Diego, la gioia dei balli e il sorriso della gente, avrebbe saputo cosa rispondere. Avrebbe detto che si trovava in un luogo dove è possibile sostare, “sì sostare”, pensò, “sentirsi accolta perché c’è il tempo per farlo”. Eleonora assorta, meditava “Qui non si corre e quando lo faccio tutti mi rispondono, “pazienza, pazienza” come per dire tranquilla. Finalmente era immersa in un tempo di riflessione e di rilassatezza dove non doveva correre per lavorare, correre per fare la spesa, correre per organizzare cena, per occuparsi di tutti.
Oh, che gioia sentiva! Non riusciva a liberarsi della sensazione di tempo “dilatato”, dell’odore dei cibi, del profumo inebriante dei fiori e del sorriso di Lui. Ma quest’ultimo pensiero la turbò. (Leonarda D.)
Ma quel turbamento improvviso frenò tutte le sensazioni positive che sin ad ora aveva assaporato. Alla festa aveva incontrato donne, con sguardi severi, fieri e luminosi, dai mille colori, chiassose e ciarliere ed è lì che si era sentita piena in questo immenso vuoto, finalmente aveva capito che il viaggio era iniziato, che, attraverso il viaggio, avrebbe imparato a perdersi. Solo perdendosi, si sarebbe ritrovata.
Doveva riprendere il viaggio, per non rimanere intrappolata nell’illusione di un sorriso. La mattina seguente decise di prendere l’autobus che l’avrebbe portata alla meta successiva. L’autobus era pieno di persone e trovò un posto libero di fianco al finestrino, così da permetterle di osservare la natura, le distanze, le aridità, le persone.
Improvvisamente si rese conto che la sua “fuga” non la esentava dal tener lontana la situazione da cui era fuggita. Quando la realtà dentro di lei le apparve davanti agli occhi, la investì una sensazione di freddo, solo le lacrime riuscirono a scaldarla. Doveva fare i conti con se stessa, sapeva che prima o poi sarebbero arrivati ma, solo se li avesse messi a distanza. Le era sembrato che la vita le fosse trascorsa apparentemente in modo lineare, senza scosse, ma ora la vedeva assolutamente frammentata.
Aveva 40 anni, faceva l’infermiera, aveva un appartamento di proprietà, qualche amicizia, qualche interesse, una famiglia alle spalle che l’aveva sostenuta nelle sue scelte …ma qualcosa in lei si era spezzato e ora lo vedeva.
Il suo lavoro l’aveva abituata a cogliere gli sguardi sofferenti di pazienti e familiari, ma quegli sguardi li filtrava, riuscendo a tenere la distanza che le consentiva di non arrivare nelle parti sue più fragili e intime. Per questo era vista dai medici e colleghi come una donna forte, su cui potevano appoggiarsi, riservandole i compiti più complessi nella gestione del reparto.
L’insinuarsi di questa modalità dentro di lei, negli anni (o forse era stata sempre così), investiva anche le sue relazioni affettive: non c’era stato nessun matrimonio o convivenza, nemmeno il desiderio che ciò potesse accadere.
Quando l’altro incontrava il suo sguardo, cosa si vedeva di lei? Spesso Guido, l’ultimo uomo con cui forse avrebbe potuto vivere, le rimproverava di avere sempre “lo sguardo altrove. Lui non poteva non notarlo, avvocato penalista che con lo sfuggente e l’inafferrabile lavorava quotidianamente.
Questa “verità” la faceva incazzare, perché lo schermo, che metteva tra sé e gli altri, le permetteva di sopravvivere emotivamente. Si era aggrappata a lui sperando di non naufragare in una solitudine profonda, solitudine che l’accompagnava sin da bambina. Adesso a 10mila km di distanza, l’incontro con Diego, la sua famiglia, il piccolo Pedro…
No! Capiva che questo era ciò che non voleva. Occuparsi di altri, l’aveva già fatto per troppo tempo. Si mise in cuffia, in ascolto di una vecchia playlist. Improvvisamente la canzone diceva:
Cerco ciò che non trovo
Mi muovo a stento
Tra fili di rose spine
Mi perdo tra le rime
che vorrei dire
con belle parole
Si lasciò andare guardando fuori dal finestrino. (Roberta P.)
Le parole della canzone la portarono a pensare di aver scelto la meta giusta, lei sapeva che perdendosi nei sentieri delle montagne per raggiungere una cima si sarebbe ritrovata. Ormai si conosceva bene sapeva che quando arrivava a livelli di saturazione determinati da stati di ansia, stanchezza fisica, morale e confusione, affrontare un percorso in mezzo alle montagne e raggiungere una cima le dava sollievo e rigenerazione. Da sempre la montagna le dava la sensazione di conquistare qualcosa, arrivare su in cima è una vera conquista e ogni volta si viene riconquistati dal panorama.
Eleonora si stava dirigendo verso la città di Cusco, da lì avrebbe intrapreso il percorso sulla cordigliera delle Ande per raggiungere la vetta della “Montana de Siete Colores” (Vinicunca).
Arrivata al punto di partenza venne equipaggiata di tutte le attrezzature idonee per affrontare il percorso. Il regolamento prevedeva che, per questioni di sicurezza, si partisse a piccoli gruppi visto che il percorso era abbastanza lungo.
Eleonora non ebbe la pazienza di aspettare un ora per partire con la guida italiana e partì subito con quattro spagnoli. Era sua intenzione vivere questa esperienza da sola e aveva più possibilità di estraniarsi non masticando benissimo la lingua. Non cercava persone con cui condividere l’esperienza ma cercava risposte dentro di sé.
Arrivò il momento di partire! Zaini in spalla, bastoncini e via, la partenza è sempre difficile, la cima è molto lontana e sembra sempre impossibile raggiungerla ma, la vista li attorno era già una forza. I cartelli indicavano diverse ore di cammino ma Eleonora non ne era spaventata, “tutto inizia con un solo passo alla volta e passo dopo passo si affronta qualsiasi cosa” pensò.
A piccoli passi la cima si avvicinava, i polmoni si riempivano di aria buona e gli occhi di splendidi colori. Quegli stessi colori degli arcobaleni che erano impressi su finestre e balconi con scritto “Andrà tutto bene” prima che Eleonora stremata partisse da casa. I colori davano molta gioia, strisce verticali di rosso, rosa, giallo, bianco, marrone, verde e nero. L’aria le accarezzava le guance, come una carezza d’amore, la vista era uno spettacolo indescrivibile, righe di colori pastello come in un disegno di un bambino. La natura da sempre è un grande spettacolo ed il primo protagonista sei sempre tu.
Eleonora si sentiva libera e prigioniera di tanta bellezza, vicino a tutti e lontano da tutti, stanca e rilassata, felice e malinconica. La montagna ha la capacità di metterti in discussione, è in grado di porti domande; soprattutto davanti a tanta immensità e ad un passo dal cielo la montagna ti chiede qual è la tua casa? Ti va di sacrificare questa libertà per godere di una certezza? Un vero cocktail di emozioni che ti fa trovare una dimensione di tranquillità e serenità dove l’unico compagno fedele è il cielo azzurro che prosegue interminabile per chilometri e chilometri, macchie di colori e giù in fondo l’orizzonte sconosciuto.
Ogni volta che Eleonora conquistava una meta aveva la sensazione che le sue vere emozioni venissero lasciate in custodia alle alte quote e che le tenessero prigioniere fino al viaggio successivo. Lei là trovava la sua dimensione e si sentiva più completa che mai.
La voglia di rimanere lassù era sempre tantissima ma bisognava iniziare a scendere.
Abbandonare l’alta quota significa tornare indietro ma ogni volta lo si fa con un bagaglio di nuovi buoni propositi e con maggior voglia di vivere perché la natura è straordinaria e trasmette tutta la sua meravigliosa forza. (Roberta Benatti)