Cittadinanza digitale? Servono strumenti adeguati e professionisti della comunicazione competenti che facilitino il dialogo con la comunità

Verso la legge 151, Sergio Talamo: “Diamo un’identità precisa e un riconoscimento anche contrattuale agli esperti del settore”

Cittadinanza digitale? Le condizioni perché diventi realtà sono due: mettere a disposizioni della comunità gli strumenti necessari, ma anche i professionisti competenti che ne favoriscano l’utilizzo. Parola di Sergio Talamo, giornalista, autore, direttore Comunicazione Istituzionale e Relazioni con le PA di Formez Pa, che ha appena firmato insieme a Roberto Zariello, il Nuovo manuale di comunicazione pubblica (edizioni Centro di Documentazione Giornalistica). Il volume, introdotto dai saggi di Gianni Letta e Mario Morcellini, approfondisce molti temi. Focalizzandosi sulla legge 151, la riforma della legge 150 del 2000, che disciplina l’attività di informazione e comunicazione istituzionale nella pubblica amministrazione. Talamo ha coordinato il gruppo di lavoro per la riforma della comunicazione pubblica e la social media policy di indirizzo nazionale, istituito dal ministero della Pubblica Amministrazione. Con l’obiettivo di definire un nuovo modello organizzativo e, appunto, un aggiornamento della normativa. Alla stesura del libro hanno partecipato 37 colleghi, portando la loro esperienza sul campo. Perché si volta pagina solo partendo dal proprio vissuto.

Dove ci porta questo manuale?

Nei territori delle nuove tecniche digitali e social della comunicazione pubblica, della citizen satisfaction, della partecipazione civica, della trasparenza, dell’ascolto, dei fondi europei. Il nostro sistema è legato ancora a pregiudizi duri a morire. Da trent’anni si reclama un cambio di passo. Nel 2015, con la riforma Madia, si parlava di cittadinanza digitale, concetto anticipato già dalla riforma Brunetta. E poi ripreso di nuovo, recentemente, dallo stesso Brunetta e dal ministro per le Politiche Giovanili Fabiana Dadone. Ma il cittadino fruisce realmente dei servizi? Esistono specifiche figure professionali che facilitino questo dialogo?

Cosa cambierà con la legge 151?

La commissione che ho coordinato ha presentato un documento di indirizzo sulla riforma della 150 del 2000, da anni ampiamente superata. I tempi sono cambiati, però si stenta ancora a individuare una categoria contrattuale adeguata per gli addetti ai lavori. Emergono posizioni conservatrici da parte delle stesse organizzazioni dei giornalisti e dei comunicatori. Se penso ad esempio al lavoro senza tregua che abbiamo svolto durante la pandemia: un grande sforzo per informare con puntualità e precisione, che ha permesso anche di recuperare la reputazione del brand pubblico. Eppure, nessuna gratitudine e nessun riconoscimento.

I concetti chiave della riforma?

Il primo è communication room, intesa come lavoro di squadra dei giornalisti e dei comunicatori. Il secondo è valorizzazione delle professionalità della comunicazione digitale. Serve una stretta collaborazione fra i vari operatori. E poi la tutela del diritto di partecipazione del cittadino, la cui interazione permette di migliorare i servizi offerti.

Un appello al governo e ai manager della pubblica amministrazione…

Il governo si sta muovendo bene, grazie alle riforme che porta avanti: il passo successivo è giungere a una legge che dia spazio e identità professionale agli esperti del campo. Ai manager pubblici chiedo che non aspettino nemmeno la legge. Sanno bene che le istituzioni devono parlare con i cittadini. Serve quindi che i loro professionisti non siano improvvisati, ma davvero competenti e per questo riconosciuti nel loro ruolo professionale, al pari dei colleghi degli altri settori.

Elena Miglioli è il direttore del periodico Mantova Salute, responsabile dell’Area Ufficio Stampa e Comunicazione di ASST di Mantova. Giornalista professionista, scrittrice, poetessa. Ama tutte le forme d’arte, ma mette la musica (classica) al primo posto.

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