“I professionisti sanitari come il samaritano: strumenti di compassione”

Il Vescovo incontra i professionisti dell’ospedale di Mantova prima del Natale

Il Covid ci ha fatto un’imboscata” commenta così un operatore dell’ospedale di Pieve di Coriano spiegando come non lo si conosceva: è venuto d’improvviso, non sapevamo come funziona, ci ha trovato totalmente sprovveduti e ci ha spogliato delle nostre sicurezza professionali e delle nostre certezze. Un po’ come l’uomo incappato nei briganti nella parabola del buon Samaritano. Viene picchiato, derubato e lasciato morente per strada.

È proprio quest’episodio biblico il punto centrale della riflessione e del momento di preghiera durante il quale il vescovo di Mantova, Marco Busca, ha incontrato i professionisti dell’ospedale di Mantova.

Un evento a conclusione di un anno particolare che ha voluto far riflettere proprio su tutto ciò che è accaduto e che ha sconvolto la quotidianità di ognuno.

Un sacerdote e un levita – afferma il Vescovo – passano vicino a questa scena dolorante, ma passano oltre. Non perché sono cattivi come talvolta si interpreta. Ma perché il loro mestiere era quello di fare la diagnosi del caso. Questo uomo, in quanto a perdita di sangue, è un impuro. Bisognava allontanarsi perché nel deserto non si sarebbe trovato, se non a chilometri, un pozzo di acqua con cui potersi purificare da questo contagio. Sono uomini meticolosi, professionisti, abituati a classificare. Però questo non fa sì che diventino strumenti della compassione.”

“Il Samaritano reagisce in un altro modo – continua – Vuole avvicinarsi per creare un’alleanza terapeutica tra lui e quest’uomo dolorante. Fa un grande atto di speranza. Non vede un uomo mezzo morto, ma lo vede mezzo vivo. Questa è sempre la differenza di fronte alle situazioni quando dobbiamo reagire. Possiamo vedere che lì che ancora un’opportunità. Ci occorrerà del tempo per capire che perle potremo noi raccogliere da questa tragedia.”

Le testimonianze stesse che hanno preceduto l’intervento del Vescovo hanno sottolineato come è stato possibile per i professionisti e per i pazienti vedere un’opportunità e una speranza anche durante la fase emergenziale più acuta.

Giovanni racconta la sua esperienza da ex malato Covid: molti giorni di ricovero e ora solo una grande gratitudine nei confronti di tutti. La paura ha lasciato il posto alla serenità dopo qualche giorno grazie alle cure ricevute, al lento miglioramento e soprattutto alla fede. Il paziente, infatti, ha potuto trovare una parola di conforto e di speranza negli incontri con i sacerdoti che potevano entrare in reparto.

Poi un’infermiera, Roberta Benatti, che ricorda la prima ondata e la sua disponibilità a trasferirsi dalla Pediatria – reparto in cui normalmente lavora – alla Terapia Sub Intensiva Respiratoria della Pneumologia. “Gli sguardi smarriti delle persone li raccoglievo e ogni giorno li affidavo al Signore perché in quelle circostanze ho sentito nel profondo, che il mio aiuto era poca cosa e che siamo tutti mendicanti di aiuto e di salvezza. – racconta – È maturato più forte di prima la consapevolezza che la scienza e la medicina, pur nel progresso, non possono tutto. L’uomo non è onnipotente.”

Vanni Galavotti, pneumologo in prima linea, racconta della dimissione di una paziente guarita che ringraziando afferma che, oltre alle medicine, ciò che è servito di più è stato il contatto morale e umano. “Per questa signora le notti erano lunghissime, piene di solitudine e paure – ricorda il medico – ma nel mattino c’era la speranza: arrivavano gli infermieri e i medici con cui poteva parlare. Queste persone hanno fatto l’esperienza che ha fatto Gesù nel Getsemani la notte prima di morire: ha vissuto il senso dell’abbandono, della solitudine e l’angoscia della morte”.

L’altra storia che racconta Galavotti è quella di una signora con una quadro clinico complicato. Non ce l’ha fatta. “Dottore, si ricordi che la morte e la sofferenza non hanno l’ultima parola” – afferma prima di morire.

Fondamentale è stata la coesione delle equipe che hanno lavorato tutte insieme, instancabilmente. Questo è ciò che ha sottolineato Riccardo Bertoletti, direttore sanitario di ASST Mantova.  “Riusciremo a difendere tutti? Pazienti e operatori? Questa era l’angoscia della prima ondata. – ricorda Bertoletti – In questo clima di ansia si riusciva a scoprire una capacità di risposta di tutti i nostri operatori, tutti che collaboravano e si aiutavano in maniera indescrivibile. Una concretizzazione della parola fratellanza che in ospedale non avevamo mai visto tra operatori”.

Lo conferma in Direttore Generale, Raffaello Stradoni: “Tutti i nostri professionisti stanno dando il massimo. Un augurio anche ai nostri pazienti perché questo periodo presto finisca e perché possiamo ritrovarci a condividere le esperienze o l’anno prossimo questo luogo sacro possa accoglierci tutti insieme per la comunione”.

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