I doc’n’roll con la chitarra sotto il camice: “La musica cura anche noi”

Medici e artisti, dopo il turno corrono in sala prove o su un palcoscenico per dare voce alle emozioni e coltivare l’amicizia

 

Tu chiamale se vuoi emozioni. O innocenti evasioni. Dal carico di sofferenza e dalle responsabilità che la professione medica comporta. Chiamale come ti pare, ma una cosa è certa: la musica cura, più che mai, anche chi cura. Così loro, i camaleontici ‘doc’n’roll’ di Asst Mantova, quando scatta l’ora x si trasformano e raggiungono il loro altrove preferito.

Come supereroi vestiti a rovescio, sotto il camice da togliere a fine turno, hanno forse già pronte le tenute da rockers per raggiungere una sala prove o un palcoscenico dove mettere a frutto un’altra arte. Quella che viaggia sugli spartiti, anziché sulle cartelle cliniche dei pazienti. Sempre di arte si tratta: l’una esercitata al letto del malato, l’altra nel non luogo dei suoni. Che sanno sempre dove abitare, ovunque li si crei o li si immagini. Insomma, i medici musicisti del Carlo Poma sono artisti due volte.

 

C’è chi la chitarra elettrica l’ha imbracciata dopo i 50 anni. Regalo di moglie e figlio, un diapason per dare quel la che permette alle dita in corsa sulle corde di ricucire anche certe ferite. L’urologo 62enne Marco Luciano la chiama, non a caso, terapia: “Parentesi di benessere e gioia che fa svanire le fatiche e stempera le brutte immagini della giornata. Quando suoniamo non sentiamo più malesseri e ansie. A un certo punto della mia vita ho deciso che volevo rincorrere un sogno nato quando ero ragazzino. Così si sono materializzati gli Skalkagnensi, perché all’inizio eravamo un po’ scalcagnati e facevamo cover degli Skunk Anansie. Organizziamo pure eventi di beneficenza e ne siamo orgogliosi”.

 

Anche Paolo Pisi, 56 anni, medico legale, sostiene che “suonare è una sorta di catarsi, impedisce al dolore, allo stress e alle frustrazioni di sedimentare e consumarti dentro”. Da 32 anni voce e tastierista dei Choolers, il professionista si è dato più tardivamente anche alla scrittura. Nel 2019 ha pubblicato il libro di racconti Il meccanico di Nuvolari e altri personaggi di genio: “Musica e parole possono incrociarsi e alcuni racconti nascono come canzoni. Così le presentazioni del mio volume sono diventate reading concerti, durante i quali si leggono i testi e si suonano dal vivo con la band i brani che li hanno originati”.

 

Fabio Schirosa, 39 anni, specialista della Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, si definisce un “solista domiciliare”. Perché fin dall’età di 5 anni si diletta fra chitarra acustica, sax e voce, ma non ha un gruppo di riferimento. Sembra che il suo talento più autentico sia tuttavia la parola in musica, visto che scrive canzoni e spera di poterle prima o poi sentire da qualche band in giro per l’Italia: “Mi escono dallo stomaco e le devo mettere nero su bianco. La mia prima emozione cosciente risale a un concerto dei Pooh, a cui mi capitò di assistere insieme ai miei genitori. Non avevo ancora 3 anni. Piansi non appena si spensero i riflettori”.

Nei giardini insospettabili di questa passione spuntano poi i fiori dell’amicizia, tra le motivazioni più forti che animano i dottori con lo strumento nascosto sotto la divisa. Lo dice bene Albino Reggiani, cardiologo 63enne, da 40 anni membro della pop Pandorini’s Band: “Ciò che mi spinge più di tutto a proseguire questo impegno è il gruppo, l’amicizia di lunga data che ci lega e non trova ostacoli. L’appuntamento è un vero momento di incontro, c’è sempre un prima e un dopo prove, magari con cenetta inclusa. La musica non rimane soltanto un momento di svago, un passatempo. È un’emozione che rinforza la persona e la sua creatività”.

 

 

Altro chitarrista il gastroenterologo Nicola Mantovani, 46 anni (nella foto a destra). Insieme a un amico ha fondato lo Sputnik Cosmic Duo, sodalizio rock country e blues conosciuto anche oltre i confini del Mantovano. Il medico parla nuovamente di una forma di autocura: “Vivo l’esperienza come una terapia personale. Forse proprio per questo motivo si coltivano le passioni. A 13 anni i miei genitori mi iscrissero a un corso di pianoforte, ma il maestro mi regalò una chitarra, dicendomi che era quello lo strumento per cui ero portato. Niente di più vero”.

 

Denominatore comune, oltre al consolidamento dei rapporti, la possibilità di aprire una porta sul proprio mondo interiore. Per Marco Giannelli, 46 anni, anestesista, chitarrista e seconda voce dei Fricandò, “la musica è una forma espressiva potente, che riesce a dar voce a tutto ciò che non può essere espresso con le parole, al pari delle arti figurative”: “Più che un gruppo il nostro è un vero progetto con il quale cerchiamo di valorizzare cantanti e brani italiani, troppo spesso trascurati, proponendo appunto medleys di vari autori”.

Con Marco Giannelli nei Fricandò anche Riccardo Malaspina, 61 anni, sempre anestesista: “Suonare il pianoforte mi aiuta a evadere, mitigando lo stress lavorativo e familiare. C’è soddisfazione nel sapere che qualcuno ti ascolta e magari ti apprezza. Ho cominciato a 8 anni. Nei corridoi della scuola sentivo suonare un pianoforte. Allungo la testa nell’aula da cui proviene il suono e suor Daniela mi chiede se mi piace. Io rispondo sì. Da lì inizia il mio percorso. Ho studiato al Conservatorio Cilea di Reggio Calabria fino agli anni del liceo”.

 

 

Renato Rosiello, 59 anni, cardiologo interventista, si esercita tutti i giorni alla chitarra elettrica dopo il lavoro. Perché non bisogna mai perdere terreno.
Suona con diversi gruppi, tra i quali i Blues Surgery. Con Gianni Dall’Aglio nei Ribelli, con Rinaldo Schilingi nei Fuggiaschi di Don Backy. Per lui musica e lavoro sono interconnessi: “Nella storia troviamo diversi medici musicisti. Il punto di contatto è l’armonia, intesa come incastro delle note e delle condizioni mediche. Spesso durante gli interventi ascoltiamo in sottofondo la musica, serve a distendere noi e anche il paziente, quando è sveglio. Musica e medicina sono entrambe attività molto serie, serve tanto impegno”.

Nei Blues Surgery, insieme a Rosiello, il basso elettrico 61enne Antonio Stuani,anestesista. Che offre la sua esperienza blues e jazz anche ai The circus is in town e alla Dino’s jazz band. Per Stuani la musica è una compagna importante di ogni giornata: “Sicuramente
qualcosa di irrinunciabile. Non è un sottofondo da ascoltare distrattamente, piuttosto un approfondimento di cui godere. È una ricerca senza fine, perché nuove direzioni inaspettate sono spesso dietro l’angolo
”.

 

L’infettivologo Giorgio Perboni, 58 anni, è diplomato in viola al conservatorio. Studi e gusti classici, con performance in orchestra e gruppi da camera. Da un paio d’anni però il medico ha sfoderato il violino elettrico per unirsi i versione rock ai suoi colleghi, nei Rochenrol choolers e negli Hot Five. Esperienze singolari in quanto i concerti, come per Paolo Pisi, diventano storie da raccontare: “La musica fa stare bene. Senti il brivido della libertà di esprimerti. Entri in connessione con gli altri senza necessità di usare le parole. Ultimamente, a casa, suono spesso con mio figlio, che è violinista. O con mia figlia, cantante di musical”.

 

Maurizio Cantore, oncologo 64enne, lui per primo pianista, ha infilato numerosi ospedali italiani come perle sulla collana della musica più commovente. Quella che si fa in reparto. Con i medici, gli infermieri e i malati di cancro vestiti tutti allo stesso modo. Mescolati fra loro. E la malattia, che per un momento, resta fuori dalla porta. È presidente dell’associazione Donatori di musica, una rete di grandi nomi che mettono gratuitamente la loro arte sublime a servizio di chi soffre. Così, nel reparto di Oncologia di Mantova è entrato un pianoforte. A tutti gli effetti strumento di cura. La rassegna, nei mesi più neri della pandemia, si è trasferita all’ingresso dell’ospedale, con i concerti da ascoltare affacciati alla finestra o in diretta facebook, come Covid comanda. Ora si replica a Pieve di Coriano.

 

Il figlio Stefano segue le orme del padre Maurizio ed è pianista nel Martina Dry trio.
Parla della musica, respirata da sempre in famiglia, come di “un canale comunicativo alquanto sincero, che dà vita a un confronto con se stessi, ma che permette soprattutto un dialogo e un’intimità con gli altri musicisti difficilmente raggiungibile con il linguaggio verbale”.

Che dire infine dell’indimenticabile tour musicale organizzato nel 2017 da Marco Luciano, Nicola Mantovani, Renato Rosiello e Antonio Stuani? Sembra di vederli i doc’n’roll on the road, impegnati in un viaggio negli Stati Uniti sulle vie del blues, con esibizioni improvvisate nei locali. Un’avventura straordinaria, materiale buono per un romanzo. O poco ci manca.

Eravamo quattro amici al bar, che volevano cambiare il mondo cantando e suonando. Nella sera dei miracoli, con la luna che sta per cadere e la gente che corre nelle piazze per andare a vedere. Bastano quattro amici al bar per cambiare, a sorsi di musica, un pezzo di mondo. Se non altro il proprio e quello di chi si vuole mette in ascolto. Non solo con l’orecchio.

 

Elena Miglioli è il direttore del periodico Mantova Salute, responsabile dell’Area Ufficio Stampa, Comunicazione e Urp ASST di Mantova. Giornalista professionista, scrittrice, poetessa. Ama tutte le forme d’arte, ma mette la musica (classica) al primo posto.

4 Commenti
    1. Certo, Roberta. Sapessi quanti altri artisti ci sono nei nostri ospedali, nascosti sotto i camici. A turno li faremo conoscere tutti!

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