Chi ce l’ha fatta ringrazia il personale: “Equipe meravigliose, angeli in corsia”

Il primario Malaspina: “Da medico a paziente”. Dimesso anche un nonno record di 97 anni. Un 43enne: “Grande calore umano, che non dimenticherò”

Grazie a questa equipe meravigliosa ce l’ho fatta”. Riccardo Malaspina, responsabile della Terapia del dolore di ASST di Mantova, ha combattendo la sua battaglia contro il Coronavirus in un letto di Terapia Intensiva, dove è rimasto per 18 giorni. Una storia che ha commosso tutti, la sua. Storia di un medico che si ammala, con i risvolti che questo cambio di ruolo comporta, come ha raccontato il collega Gian Paolo Castelli, direttore della Terapia Intensiva, Anestesia e Rianimazione: Inizialmente non ha voluto farsi intubare e lo abbiamo gestito con la ventilazione non invasiva. Poi, suo malgrado, ha dovuto cedere, perché le condizioni non miglioravano.

Malaspina ha ricordato i momenti peggiori e poi la ripresa: “Pensavo che non ce l’avrei fatta. Invece eccomi qui. Ho capito che bisogna abbandonare l’idea di essere un professionista e diventare paziente a tutti gli effetti. Un atto di umiltà che permette anche di guadagnare tempo. Ho visto i professionisti del reparto lavorare in modo eccezionale. Mi sono messo con fiducia nelle loro mani”.

Come lui, anche altri medici del Carlo Poma si sono ritrovati all’improvviso nel ruolo del paziente durante il percorso verso la guarigione.

Mauro Pagani, direttore del Dipartimento Medico, dopo il ricovero di marzo in Chirurgia Toracica per Covid, si è ripreso bene: “Ho passato giorni brutti e il Coronavirus continua a disturbarmi anche nei sogni notturni, ma ora sono qui e posso aiutare chi ne ha bisogno”.

Il direttore dell’Oculistica Giuseppe Sciuto, invece, è stato curato con il plasma: “Dopo l’infusione sono nettamente migliorato. Ringrazio infinitamente i colleghi, davvero eccezionali. Ho sentito la morte vicina, invece ce l’ho fatta”.


Inoltre c’è chi è guarito rimanendo in isolamento domiciliare come Marco Ghirardini, direttore della Medicina di Asola: “Fortunatamente ho evitato il ricovero, anche se è stata dura. Ho vissuto con i miei familiari, ma non li ho visti per tutto il tempo della malattia. Sono rimasto nella mia stanza con i servizi adiacenti e ricevevo i pasti davanti alla porta. Da martedì scorso il rientro al lavoro”.

Simile la storia di Andrea Pizzoli, uno dei primi operatori sanitari a risultare positivo al tampone, che ha dovuto affrontare la quarantena. Da due settimane è tornato al lavoro: “Ho superato la malattia senza sintomi pesanti, sono in buono stato di salute”.

Eroi gli operatori sanitari, ma anche i pazienti che sono riusciti a superare il virus e a tornare casa. Tra loro c’è anche il nonno record di Cremona, dimesso a 97 anni  dopo due settimane di degenza all’ospedale di Asola. Il ricovero risale al 29 febbraio, quando l’anziano è arrivato al Pronto Soccorso del presidio mantovano con una polmonite. Dopo un paio di giorni il 97enne si è aggravato, rimanendo in condizioni critiche per una settimana. Poi il recupero, che ha stupito tutti, familiari e operatori sanitari, in controtendenza con le statistiche sulla malattia.

Sembrava che non potesse farcela – commenta Maria Luisa Spina, il medico della Medicina Generale che ha disposto il ricovero del paziente e lo ha assistito insieme alla collega Sara Malagola e agli altri operatori sanitari – invece si è ripreso molto bene. Ha dimostrato una tempra formidabile e una totale autonomia. La sua è una famiglia longeva. Ci ha ringraziati e ha detto all’equipe che siamo i suoi angeli”.

C’è anche Luca Riva, 43enne di Casatico (Marcaria), ricoverato prima in Malattie Infettive e Pneumologia al Poma e successivamente ad Asola. “Ho trovato persone preparate, molto gentili e molto disponibili”, commenta il giovane mantovano e parla delle sue paure e dell’incoraggiamento ricevuto dal personale: “Per tenere duro pensavo di essere in montagna e vedere prati fioriti. Non smetterò mai di ringraziare l’equipe  e il primario della Pneumologia Giuseppe De Donno per la caparbietà e per le cure, soprattutto per l’umanità. Ogni infermiere mi incoraggiava a reagire, De Donno la sera prima di andare a casa passava a salutarmi e mi diceva che a piccoli passi stavo migliorando. Si faceva dare del tu. Poi mi diceva: quando finirà tutto andiamo a mangiare una pizza, non ti preoccupare che resteremo in contatto. Per me una gioia sentire persone così e come lui i suoi collaboratori hai quali va un abbraccio forte”.

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