Giovanni mi chiamava da un giardino, al di là di un cancello: “Carla, ti aspetto”

Nel 2018 si è celebrato il decimo anniversario della fondazione della struttura Cure Palliative del Poma. Riceviamo e pubblichiamo le testimonianze degli operatori dell’ASST, protagonisti di questa esperienza di grande impegno e valore sotto il profilo professionale e umano (continua dal numero di agosto di Mantova Salute).

Carla l’aveva incontrato un’unica volta. Era in un giardino, dove non era mai stata prima. Dietro una siepe di sempreverde un cancello in ferro battuto sorgeva dal nulla, a delimitare una proprietà inesistente. Riporto il suo racconto.

Ero emozionata e il cuore mi batteva forte, finalmente ci rivedevamo dopo cinque lunghi anni di esilio. Lui, non era cambiato. Bello come molti anni prima, quando veniva a prendermi in moto per andare a ballare. Giovanni mi stava aspettando, vestito di tutto punto, persino troppo elegante. Non era certo la sua tuta da lavoro blu a salopette, quella con cui mi ero abituata a vederlo, giorno dopo giorno.

Giovanni mi chiamava insistente: vieni, Carla, vieni, ti stavo aspettando!

Lui, al di là del cancello, mi invitava a raggiungerlo, e alla svelta. Il cancello, grandioso, aveva una porta aperta ed io ero pronta ad entrare. Mentre stavo per varcarlo, un pensiero fulminante: le mutande! Sono senza mutande! Ma com’è possibile, sono sempre stata così attenta e pudica, non posso ritrovarmi senza mutande proprio oggi! Peggio che andar di notte, mi mancano anche altri indumenti: addosso ho unicamente una canottiera di cotone leggera. Per terra, una neve bianca come farina. Dove sono i miei vestiti?

Giovanni insiste: dai, Carla, svelta, perché perdi tempo?

Guardami, Giovanni, sono in disordine, scusami…vado a cercarmi almeno le mutande, un minuto soltanto e poi ritorno…Sono corsa nella direzione opposta al cancello per cercarle e mi sono girata un attimo per accertarmi che Giovanni restasse ancora lì ad aspettarmi e…niente, non c’era più nessuno.

Mi sono svegliata con il cuore in gola, sudata e agitata per la corsa, l’emozione e l’imbarazzo.

Sola, nel letto di casa mia, Giovanni mi guardava immobile e muto dalla solita foto sul comodino della mia camera da letto. Avevo un altro lungo giorno da affrontare, sola. Il male non era scomparso, invece, quello c’era. Mi aveva tolto la mia macchina da cucire, la passeggiata fino alla chiesa del paese, la voglia di fare la sfoglia, il piacere di invitare i miei nipoti a pranzo la domenica e persino il desiderio di pregare.

Santa Rita, aiutami. Tu che sei la santa dei desideri impossibili, ti scongiuro, fammi partire subito, fammi andare da Giovanni. E non lasciarmi mai più senza mutande.

Elisabetta Trolese, infermiera

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