Gesti semplici e delicati: accompagnare il malato terminale, un’esperienza che arricchisce

Dieci anni di Cure Palliative attraverso le testimonianze di professionisti e pazienti

Quest’anno ricorre il decimo anniversario della fondazione della struttura Cure Palliative del Poma. Per l’occasione è stato organizzato un calendario di eventi che vedono la collaborazione di diverse realtà della comunità mantovana impegnate nel corso degli anni a diffondere la cultura del sollievo e ad avvicinare la cittadinanza al tema della malattia terminale.

L’attività delle Cure Palliative ha conosciuto una crescita progressiva e consiste nell’erogazione di cure in hospice e a domicilio. L’assistenza ai malati e alle loro famiglie avviene grazie alla sinergia tra professionisti, volontari e caregiver.

Riceviamo e pubblichiamo le testimonianze degli operatori dell’ASST, protagonisti di questa esperienza di grande impegno e valore sotto il profilo professionale e umano.

Lavoro di equipe e formazione sono molto d’aiuto
La mia esperienza lavorativa nel reparto Cure Palliative è iniziata a giugno del 2010, quando il reparto era funzionale e attivo da due anni. Avendo già lavorato per cinque anni in hospice a Rodigo, il mio inserimento nel nuovo ambiente lavorativo è stato graduale e allo stesso tempo ricco di novità. Il mio contributo lavorativo si concretizza quotidianamente nella semplicità dei gesti di cura, attraverso i quali i malati trovano una risposta ai loro bisogni. In hospice come a domicilio, la persona malata presta molta attenzione ai nostri gesti, alle parole, ai silenzi, all’ascolto e alle piccole cose.

I nostri gesti sono speciali e delicati. Durante questi anni ho avuto la possibilità di ascoltare i pazienti che sentivano il bisogno di parlare dando sfogo alle proprie paure, perplessità, speranze e gioie. Talvolta, saper gestire le emozioni in modo adeguato alle situazioni non è facile, infatti non sono mancati i momenti di malinconia e pianto, cosi come quelli di gioia e felicità. La sofferenza e il contatto con la morte entrano a far parte della nostra quotidianità lavorativa. A tal proposito il lavoro di equipe e una formazione professionale costante e adeguata mi aiutano a gestire le emozioni e a condividere le scelte dell’equipe, oltre a supportare il dolore dei famigliari. Saper accompagnare il paziente negli ultimi momenti di vita è un’esperienza che mi arricchisce e mi fa riflettere in merito ai valori della vita e alle mie scelte personali future.

Fabio Melegari
Operatore socio sanitario 

Stanotte la luna è entrata dentro la stanza e mi ha fatto compagnia

Paola è una giovane donna, molto bella, separata con due figli e un ‘attività lavorativa gratificante. Si ammala ed il suo corpo inizia a cambiare, la malattia non le concede molte speranze e le sue aspettative, di conseguenza, si riducono.

Ad un certo punto Paola decide di morire in una stanza dell’hospice, lontana dai suoi affetti, per proteggerli e per poter gestire autonomamente la sua sofferenza. Paola appare chiusa, riservata e quotidianamente risulta faticoso varcare quel confine immaginario, che appena si intravede entrando nella stanza.

Tutti noi operatori abbiamo imparato a rispettare i suoi tempi, i suoi silenzi, il suo spazio e lei sa che  ci siamo sempre…per lei e per i suoi familiari. Lo sa benissimo.

Quando lo desidera, soprattutto la notte che è una cattiva compagna…Paola si lascia andare, si racconta e chiede compagnia mentre si gusta una sigaretta…ed è lì che diventa nostra complice….ed è lì che esprime i suoi bisogni e le sue angosce.

Ricordo in particolare una notte in cui entrando nella stanza , lei era serena, lo sguardo rivolto al ciel,  con la finestra spalancata e mi ha sussurrato: ” Sai…stanotte la luna è entrata dentro la stanza e mi ha fatto compagnia”.

Questa era Paola…quella che ripeteva spesso di essere in attesa solo della morte!

Franca Pezzini
Infermiera 

Un concentrato di vita e vivacità che riscalda il cuore

È il primo giorno di sole di questa strana primavera che fatica ad uscire dall’inverno. Sono un po’ preoccupata perché non so bene cosa aspettarmi, ma la strada è così lunga che ho tutto il tempo per prepararmi. EKM è una bambina straniera di 6 anni affetta da un tumore cerebrale. Non sono sicura di riuscire a non rispecchiarmi nei suoi genitori.

Quando arrivo è in casa col papà, che capisce poco l’italiano, per cui è lei a fare da interprete. La bambina è bellissima, un piccolo concentrato di gioia di vivere che riscalda il cuore. È fresca e sorridente. Durante  la visita mi chiede se può farmi vedere i suoi compiti “perché”, mi dice, “il papà me li fa sempre sbagliare tutti!”. Quanto abbiamo riso insieme!

Sono poi tornata ancora in visita e non posso fare a meno di pensarci senza che mi affiori un sorriso. Perché a dispetto della malattia conserva comunque l’ingenuità e la vivacità dei suoi pochi anni. Come quando l’ho trovata sulla soglia di casa che brontolava con un vicino accusandolo di essere troppo vecchio per potersi ricordare bene le parole di una canzone!

Daniela Martinelli
Medico 

L’anima ci resterà sempre accanto

Stava morendo in Hospice un ragazzo giovane di meno di 50 anni circondato da tutti i suoi famigliari. Il racconto è della moglie. Era notte, aveva piovuto da poco. Racconta che poco prima del decesso era uscita dalla stanza per prendere un po’ d’aria, si era affacciata ad una finestra del corridoio ed il suo sguardo si era soffermato su una pozzanghera illuminata da un lampione: ad un certo punto aveva visto una palla di luce che si sollevava dall’acqua della pozzanghera e proprio in quell’istante l’infermiera usciva dalla stanza per informarla che il marito era spirato…proprio in quell’istante in cui lei aveva visto quella palla luminosa che si staccava da terra e che ha associato all’anima di suo marito che si liberava dal corpo. Era serena, estremamente serena.  

Da quel momento a lei il corpo interessava relativamente perché aveva la certezza che l’anima se ne era uscita e sarebbe sempre stata accanto a loro. Quando ha finito di raccontare non sono riuscita a trattenere le lacrime

Elena Spiritelli
Medico 

Ho vinto tante battaglie, se non vinco questa ho comunque tanti bei ricordi

Gino classe 1934, anni 81. Ha tante foto appese in camera che narrano la sua storia sportiva. Una foto di gruppo del 1952: lui, il primo in piedi a sinistra a 18 anni in occasione di una partita di calcio del gruppo ciclisti giovanile.

Indica la foto: “Avevo 18 anni lavoravo da un panettiere e consegnavo il pane. Mi alzavo alle 4 di mattina, andavamo a Verona e ritorno per allenarci in bici, poi andavo a lavorare fino a sera…..avevo il fisico allora! A quell’età riesci a fare di tutto!”.

Poi ci sono tante foto dove riceve premi, medaglie di gare di bocce con i compagni della squadra della bocciofila. Racconta la sua vita.

“Ho cominciato a giocare nel 1992-1993 quando sono andato in pensione. Il mio miglior amico mi ha detto: dai prova! E non ho più smesso! Non ho fatto fatica ad imparare, ho talento. Ho provato a tirare e ho colpito il boccino…così! Ho fatto tante gare; io e il mio socio abbiamo vinto in posti dove abbiamo buttato fuori i più bravi, i favoriti. A Roverbella c’era uno bravissimo e invece guarda qua! (indica una foto, ndr), abbiamo vinto il primo premio; prima quello aveva eliminato un sacco di gente brava e poi….chi l’avrebbe detto…..gli abbiamo dato una pagata! Che soddisfazione…In quest’altra foto (altro compagno di gara, ndr) eravamo ai campionati nazionali, anche qui primi! In vent’anni ho vinto 54 medaglie d’oro, le avevo messe tutte esposte in un quadro appeso in casa. Poi ho pensato di venderle, prima che qualche ladro me le portasse via, di questi tempi non si sa mai, e così ho fatto; ho tenuto però tutte le foto e i ritagli di giornale. Ho vinto tante battaglie nella mia vita, anche quando sono stato operato, ma si è sempre risolto tutto. Ho combattuto. Ora non so…ma sto bene, non ho dolore…non sento niente (indica il tubo del drenaggio biliare che esce dal suo fianco, ndr),…sono fortunato. Anche adesso cerco di curarmi e di combattere, faccio un po’ di movimento con le gambe, prendo le medicine. Al mattino mi alzo presto, vado in bagno, mi lavo, mi faccio la barba,…mi tengo in movimento. Se uscirò da qui, magari uscirò coi piedi! Comunque sono sereno; ho già detto a mio figlio, che ora ha perso il lavoro, che c’è il mio libretto con i soldi e che se ha bisogno li può usare. Io sono tranquillo, se non vinco questa battaglia ho tanti bei ricordi di cose belle, lo sport che ho sempre amato, le gare, le medaglie; e pensare che mio figlio è il contrario…Quando era piccolo gli avevo comprato gli scarpini da calcio per andare a giocare al campino della parrocchia; li ha usati solo un giorno e poi glieli hanno portati via…(ride, ndr) 

Laura Giordani
Operatore socio sanitario

Nella fotografia il reparto di Cure Palliative dell’Ospedale di Mantova
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