L’ospedale di Ostiglia costruito non da un solo benefattore, ma da tutta la comunità

Un primo indizio indiretto dell’istituzione viene riportata da Giambattista Biancolini nella sua Serie cronologica dei Vescovi e Governatori di Verona, dove si parla del lascito testamentario di Alberto della Scala

In questo e nei prossimi numeri della rubrica ‘Come eravamo’, racconteremo la storia della sanità del Destra Secchia, pubblicando testi tratti dal libro ‘Antichi ospedali nel Destra Secchia dell’Oltrepò mantovano’, di Raffaele Ghirardi (2018, Publipaolini editore), cultore di storia e responsabile delle Attività di cure sub acute dell’ospedale di Borgo Mantovano. Il passato ci aiuta a capire il presente e a costruire il futuro.

 

La storia della comunità di Ostiglia è una storia di intersezioni di terre, di acque e di strade; da questi crocevia ne scaturirono le sue vicissitudini storiche e lo sviluppo economico e sociale e l’importanza nella dimensione strategico-militare. Posta su un fiume navigabile che poteva metterla in comunicazione con Ferrara, la laguna veneta e con il porto di Ravenna, con Mantova, tramite il Mincio, e con Milano; era attraversata dalla via imperiale Claudia Augusta, già percorsa dalle legioni romane dirette in Germania, successivamente transitata dai pellegrini romei in senso contrario.

Raffaele Ghirardi

Dopo l’inselvatichimento ambientale, assieme al degrado demografico, economico e sociale, seguito alla caduta della potenza romana, sotto l’impulso delle abbazie di San Silvestro di Nonantola e di San Zeno di Verona, l’orizzonte costituito da selve acquitrinose gradatamente lasciò il passo a campagne fertili che costituirono il serbatoio cerealicolo della signoria gonzaghesca mantovana mentre il porto era centro di scambi e di commerci con i domini limitrofi di Verona, Ferrara.

La corte di Ostiglia, data la sua posizione strategica, assunse un importante ruolo militare e ben presto fu munita di una rocca attorno alla quale si sviluppò un centro urbano cinto da mura con chiese, conventi ed edifici espressione dell’autorità civile e si sviluppò anche una struttura che si potrebbe definire, almeno in nuce, come Hospitalis.

Un primo indizio indiretto di una istituzione di questo tipo in Ostiglia viene riportata da Giambattista Biancolini nella sua Serie cronologica dei Vescovi e Governatori di Verona quando riporta il lascito testamentario di Alberto della Scala, capitano di Verona, consistente in cento soldi di piccoli veronesi, destinato alla città e a ogni borgo veronese che avesse un Hospitale per pellegrini ed infermi. L’evento risale al 1301, quando Ostiglia era un dominio scaligero. In un documento risalente al maggio 1420, il Marchese Giovanni Francesco Gonzaga dispone per affitti, redditi e proventi a nome dell’ospedale San Pietro di Ostiglia. Nel resoconto della visita pastorale di Ermolao Barbaro, nobile umanista di natali veneziani e vescovo di Verona, effettuata a Ostiglia nel 1455, veniva descritto l’ospedale dedicato a San Pietro.

Si specificava che tale ospedale era stato di recente ricostruito ed aveva inglobato la precedente struttura, nonché i beni, del più antico ospedale di Sant’Antonio abate. Nel documento veniva specificato che l’ospedale era stato costruito ad opera non di un solo benefattore, bensì da tutta la comunità: per homines dicti loci. L’edificio era situato in contrada Roccabianca, attuale via Ghinosi, comprensivo di un portico con quattro arcate sulle quali si aprivano quattro finestre, sul tetto vi era un campanile a vela con campana.

Al piano terreno era situato un oratorio con due altari, dedicati ai Santi Pietro e Antonio, e una sagrestia. Dall’oratorio proveniva il pregevolissimo dipinto della Natività con i Santi Antonio e Sebastiano, datato tra il 1505 ed il 1507, opera di Antonio da Pavia. I due Santi erano venerati dalla fede popolare in quanto taumaturghi, il primo in riferimento al fuoco sacro, il secondo invocato nei periodi di peste.

L’ospedale disponeva di dieci letti destinati all’ospitalità ed era dotato di un reddito, derivante dalla generosità dei cittadini, di cinquemila staie mantovane di frumento, di cinque carra di vino e di venti ducati d’oro. Un altro ospedale, sempre in quel periodo, veniva individuato presso la chiesa di San Lorenzo, posta al di fuori del centro cittadino. In occasione di una ulteriore visita pastorale del vescovo Sebastiano Pisani, avvenuta il 19 aprile 1654, si specificava che l’ospedale era dotato di sette letti che accoglievano pauperes et miserabiles ac peregrinos, era retto da quattro consiglieri nominati tra i cittadini con la supervisione dell’arcipresbitero e del podestà di Ostiglia.

Il reggente era tale Iacobus Bullinus (Giacomo Bollini) che domiciliava in ospedale ed il cui onorario veniva deciso dagli amministratori. Le entrate ammontavano a 25,41 lire che venivano impegnate nelle opere di carità e nella manutenzione della struttura.

Il Pisani ritornò ad Ostiglia per una nuova visita pastorale nel 1662 e il 23 aprile veniva annotato che l’ospedale denunciava un reddito di circa 500 ducati derivanti dal possedimento Abà grande, in contrada Comuna; altro possedimento era una taverna ad insignam lunae, e ancora altri affitti e donazioni provenienti dal lascito di Lodovico Verrara, morto senza eredi, e risalente al 23 marzo 1617. Il bilancio veniva garantito dall’Arcipresbitero della parrocchia. I pellegrini e i bisognosi venivano accolti in un camaron dell’ospital provvisto di quattro letti detti stramazzi; fin dal 1672 si sapeva che la durata dell’accoglienza non superava i tre giorni.

In occasione delle epidemie di peste, nel periodo che va dal ‘400 al ‘600 ed in particolare negli 1574-1577 e nel 1630, a Ostiglia fu edificato un lazzaretto ubicato presso l’oratorio di San Sebastiano, in golena, di fronte all’isola Boschina. Tale edificio, risalente al 1478, viene menzionato da Don Domenico Mantovani nelle sue croniche ostigliesi, nell’anno 1630, l’anno della guerra e della peste in relazione al sacco di Mantova da parte dei Lanzichenecchi: “ Di quanti eccidi andava ricca la morte in Ostiglia non avvi memoria precisa che lo registri, solamente si sa che la chiesa di San Sebastiano serviva allora da Lazzaretto alli colpiti gravemente dall’infezione”.

In quella drammatica evenienza erano probabilmente i frati cappuccini, che avevano un convento in Ostiglia dal 1582, ad assistere gli appestati, come nella precedente epidemia del 1574 lo furono gli Eremiti di Santa Maria di Gonzaga, confraternita religiosa di origine mantovana che, fin dal 1498, aveva inviato i propri adepti presso l’oratorio di San Sebastiano. Un altro lazzaretto, con ogni probabilità, era situato presso l’oratorio o capitello del Crocefisso, nella zona del porto, forse sorto nel 1630 ad opera della confraternita di San Rocco in Ostiglia. In queste strutture venivano trasportati, su carri, i malati di peste e seppelliti i cadaveri che, come tali, non potevano esserlo nei cimiteri delle chiese cittadine onde scongiurare il contagio.

Raffaele Ghirardi, responsabile Attività di cure sub acute Borgo Mantovano

 

Nella foto in evidenza, la Rocca di Ostiglia. Archivio di Stato di Mantova, Archivio  Gonzaga, busta 90, c. 76, inizio secolo XVII, disegno a penna , inchiostro bruno e acquerello monocolore eseguito da Domenico Pennacchio, 42,7×57,3.

 

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