Medicina penitenziaria, quando la terapia diventano un foglio e una penna: “Dottoressa, scriviamo un racconto insieme”

La poesia in carcere migliora la qualità della vita e produce cambiamenti. C’è chi scrive 100 liriche e riduce l’uso dei farmaci, c’è chi prima non parla con nessuno e poi inizia un dialogo

Laura Mannarini

In medicina la narrazione da parte dei pazienti è un atto terapeutico fondamentale, perché trovare le parole per raccontare come la malattia sia entrata nella propria storia individuale favorisce il percorso di cura.

In medicina penitenziaria la presa in carico del paziente detenuto prevede percorsi di potenziamento del benessere psico-fisico, disincentivando l’abuso farmacologico a favore di strategie di empowerment individuale e di gruppo che utilizzino tecniche comunicativo-relazionali.

Quando viene espresso un fastidio, il medico interviene con un invito alla narrazione; un aspetto importante nella cura del paziente detenuto è il reale riconoscimento del bisogno sanitario, spesso non espresso, a volte espresso con poca consapevolezza da parte del paziente stesso che può manifestare discomfort psico-fisico attraverso il corpo come tentativo inconsapevole di gestire una situazione di conflitto.

“Con quale metafora descriveresti la tua esperienza detentiva?”. Quando ho fatto questa domanda ad alcune pazienti, il “viaggio” è iniziato con una formica, un fiore che aveva perso tutti i petali, un leone giallo fuoco, una palla colorata ed un foglio di carta bianca.

Attraverso personaggi reali o di fantasia, storie vere o prese in prestito inizia un racconto, per ascoltarsi davvero, per lasciarsi andare nel flusso delle parole, alla scoperta di qualcosa di nuovo che forse prima non c’era.

La parola scritta, elaborata, non semplicemente “scaraventata fuori”, aiuta i personaggi a trasformarsi durante il “viaggio”: Mariangela lentamente “ha recuperato qualche petalo”; Elena è “una formica che si è appena trasformata in drago”.

La consapevolezza di poter trasmettere il proprio vissuto, uno stato d’animo o un singolo ricordo che si pensava ormai accantonato, da forza al paziente, che esprime compiacimento e soddisfazione per questo nuovo “talento” scoperto o forse riscoperto.

Abdeljalil ha composto quasi 100 poesie, storie di fantasia per strappare una risata o preziosi ricordi di famiglia “indimenticabile il profumo del pane di papà…”. La sua irrequietezza, la richiesta anomala di attenzione sono state curate attraverso la parola, superando l’approccio farmacologico non risolutivo su condizioni disadattative.

Una signora di quasi quarant’anni chiede più volte visita per scrivere insieme lunghi testi, possiamo definirli una prosa poetica, l’argomento ricorre, l’amore per i figli e parecchi rimorsi, “Occhi che non perdonano una madre, che non accettano gli errori…”; dopo vari incontri compare un sorriso che testimonia il benessere della comunicazione.

La parola scritta, letta, riletta insieme, regalata a un amico, da spazio al cambiamento: c’è qualcuno che ascolta e che può intervenire, c’è spazio per immedesimarsi, immaginare, pensare alla storia da un punto di vista differente; a volte verità tenute troppo a bada hanno la possibilità di essere liberate.

Un ragazzo di neanche vent’anni ha difficoltà a parlare con tutti, anche con me; lui non è mai stato in un carcere e avverte molta ansia, sembra aggressivo ma in realtà è molto spaventato dall’ambiente. Per detendere la tensione gli propongo di scrivere qualcosa insieme, lui esordisce con “non sono poeta, ma un cantante/la galera non è stata mia scelta…”, tramite la parola scritta, che ha rotto la diffidenza, inizia un dialogo; in poco meno di una settimana scrive quasi quindici poesie, diventa “un pozzo di idee…”.

Scrivere è un bisogno, spesso una cura, quasi sempre diventa una passione. Mourad un giorno al termine di un incontro mi ha detto “…la passione è speranza”.

Gli operatori agendo questo approccio metodologico esprimono reale convincimento nel possibile percorso di riabilitazione clinica e psico-sociale del paziente, mostrano determinazione nel creare situazioni ambientali non favorenti escalation aggressive.

La comunicazione e le abilità di scrittura vengono stimolate e potenziate con l’ascolto e l’attenzione degli operatori alla storia di ciascuno; la percezione soggettiva di qualità di vita migliora attraverso la parola come cura.

Di Laura Mannarini, Coordinatore Sanitario Medicina Penitenziaria ASST Mantova

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