L’antica spezieria di Moglia e il suo inventario: un tuffo nel XVIII secolo

Gli studiosi Emilio Guidotti, Margherita Sacchi e Gilberto Zacchè ricostruiscono la storia della farmacia mantovana in un libro di grande pregio

Bacche di ginepro: 2 soldi per oncia. Cortecce di cinnamomo: 14 soldi a dramma. Maggiorana di Levante: 10 soldi a manipolo. Droghe, utensili, illustrazione dei preparati. È un viaggio affascinante nella storia quello che si compie fra le pagine del libro L’antica spezieria Sacchi di Moglia (sec. XVIII). Inventario, scritto da tre studiosi mantovani: il farmacista e cultore di botanica farmaceutica Emilio Guidotti; la paleografa e discendente della famiglia di Domenico Sacchi – proprietario della spezieria – Margherita Sacchi; l’archivista e storico Gilberto Zacchè. La prima spezieria di cui si abbia notizia a Moglia risulta attiva dal 1787. Una scoperta che ha riconsegnato alla memoria collettiva un tassello prezioso.

Nel volume – precisano Margherita Sacchi e Gilberto Zacchè – abbiamo approfondito la ricerca genealogica sulla famiglia Sacchi, oggetto di una precedente pubblicazione, che puntava a conoscere le origini e l’influenza che esercitò in passato nel territorio del Basso Mantovano. L’inventario è stato rinvenuto all’Archivio di Stato di Mantova, in un atto notarile. Annovera, tra i beni di Domenico Sacchi, una spezieria nel centro del paese, con l’elenco completo di tutte le sostanze di cui si disponeva”.

Gilberto Zacchè si è basato su fonti d’archivio, sulla legislazione vigente alla fine del XVIII secolo in materia di sanità pubblica varata dal Governo austriaco e quindi valida per la Lombardia. In questo contesto vennero regolamentate anche le spezierie, con riferimento alla preparazione professionale degli speziali e alla loro capillare diffusione sul territorio.

È stato ricostruito l’avvicendamento di speziali e farmacisti nella conduzione dell’attività fino ai giorni nostri. Alcuni di loro, nel periodo risorgimentale, hanno lasciato un’impronta professionale o politica di un certo rilievo. Il lavoro più impegnativo ha riguardato però l’inventario manoscritto. Il libro contiene anche, in appendice, una significativa fonte: la Tassa de’ Medicinali ad uso delle Spezierie della Città, e Stato di Mantova, pubblicata dal Collegium Aromatariorum Mantuae nel 1759. Si trovano poi le immagini a colori di 26 vasi da farmacia, realizzate dal fotografo Paolo Bernini e corredate dalle schede di Mariarosa Palvarini Gobio Casali, storica dell’arte e studiosa di ceramica antiquaria.

L’inventario fu redatto ai fini della successione nel 1808, in occasione della morte prematura di Domenico Sacchi. Lo speziale infatti aveva lasciato la moglie e ben sette figli ed era in regime di comunione dei beni con il fratello Probo. Gli autori spiegano che “si tratta di un documento assai interessante, oltre che raro, poiché le sostanze elencate indicano che è in atto una trasformazione sul piano della cura, dalle erbe, all’alchimia, fino alla moderna chimica”. In Italia sono stati pubblicati solo una decina di inventari relativi a periodi diversi.

Emilio Guidotti ha curato l’illustrazione di oltre 450 semplici e preparazioni: “A quel tempo l’unico produttore di farmaci era il farmacista, non c’era l’industria. Le sostanze deperivano facilmente, quindi era necessario un ricambio frequente, una grande attenzione alla conservabilità e alla buona preparazione dei medicamenti, seguendo regole molto severe. Gli austriaci ebbero il merito di coprire l’intero territorio, organizzandolo in modo da collocare farmacie e ambulatori non più solo nei principali centri abitati, ma anche nel contado”.

Il confronto fra antidotario di Mantova e inventario di Moglia rivela l’avvento di una scienza nuova: “la chimica, che ha trasformato le cure primordiali, ermetiche, intrise di magia e astrologia, patrimonio di pochi”. Si è registrata quindi una riduzione del ricorso alle piante a vantaggio delle sostanze chimiche, i cosiddetti principi attivi: “Si nota per altro la scomparsa della medicina araba, le cui formule nel XVI secolo erano il 30 per cento di quelle diffuse nelle spezierie”.

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