Nelle Fabulae di Giao Giulio Igino l’idea di unità della terra e dello spirito nell’essere umano grazie alla ‘cura’
La particolare bellezza dei miti non deriva solo dalla potenza fantastica delle loro rappresentazioni, non ci colpisce solo la loro capacità di mediare la verità, ma di farlo sempre in modo interessante. Esiste un racconto mitico, che fa comprendere le origini di un’etica del prendersi cura: il mito di Cura. Figura poco nota della mitologia romana, Cura è una divinità minore e la sua storia ci è stata tramandata dal poeta latino Gaio Giulio Igino nelle sue Fabulae, nel primo secolo dopo Cristo.
Cura dalla etimologia latina ha il significato di sollecitudine, premura, riguardo, attenzione, interesse e curiosità oltre che compartecipazione, ma si può tradurre anche con preoccupazione e inquietudine. La conosciamo soprattutto perché il mito è stato inserito da Martin Heidegger in Essere e tempo, il libro più famoso del filosofo tedesco. Secondo il filosofo la cura è una condizione originaria che accompagna l’intera vicenda esistenziale dell’uomo. È il modo dell’uomo di essere nel mondo, attraverso il quale esprime la propria progettualità, ed è il modo in cui stabilisce relazioni con sé stesso, con la natura, con gli altri.
La cura può essere declinata in modi diversi, come prendersi cura degli altri per aiutarli a essere liberi di realizzare la propria progettualità, di prendersi cura di sé stessi, o sollevare gli altri dalla cura, sostituirsi a loro e renderli dipendenti e sottomessi; in questo caso il rapporto avviene con gli oggetti più che con le persone. Soltanto se ciascuno rispetta nell’altro la cura per il proprio essere, si ha un autentico incontro e insieme si può avere cura del mondo.
Il mito racconta che un giorno l’attenzione di Cura nell’attraversare un fiume sia stata attratta dal fango argilloso. Lo raccolse e pensosa, senza bene rendersi conto di quello che andava facendo, si mise a modellarlo, traendone la figura di un uomo. Fu allora che sopraggiunse Giove, a cui la dea chiese di infondere spirito vitale nella scultura da lei plasmata, cosa a cui Giove acconsentì con facilità. A questo punto, Cura chiese di poter imporre il proprio nome a ciò che aveva prodotto, ma il dio glielo negò, sostenendo che gli venisse imposto il proprio nome, in quanto gli aveva infuso la vita.
Ne nacque una disputa, che si complicò quando ad essa si unì la Terra che riteneva opportuno che il nome avrebbe dovuto essere il suo, essendo sua la materia e il corpo con cui era stata plasmata la creatura. Per risolvere la diatriba, fu chiamato a pronunciarsi a giudice Saturno, che distribuì ai contendenti le seguenti rivendicazioni: a Giove, che aveva infuso lo spirito sarebbe toccato alla morte di quell’essere, rientrare in possesso dell’anima; alla Terra, che aveva dato la materia, dopo la morte sarebbe tornato il corpo; ma a possederlo durante tutta la vita, sarebbe stata Cura, la prima a dare forma all’essere. Il nome non sarebbe toccato a nessuno dei tre contendenti: l’essere si sarebbe chiamato “uomo”, perché creato dall’humus (Terra).
Saturno, in greco Chronos, il tempo, famoso per la sua devozione alla causa della giustizia e dell’equità, definisce il possesso di ogni cosa che ci appartiene: la terra alla terra, l’anima agli dei. In mezzo c’è l’uomo che è plasmato con la terra, ma è fin dall’inizio in relazione con il cielo e con il tempo. L’incontro tra elementi così diversi genera inquietudine, ma anche attenzione, premura, ovvero Cura, che accompagna l’uomo per tutta la vita. La morte differenzia gli dei dall’umano, di conseguenza la cura si trasforma nella peculiarità umana per eccellenza. La cura diventa così la struttura dell’esistenza stessa, in quanto intimamente connaturata ad essa. La realtà umana definita quindi dalla dimensione dell’aver cura, in questo caso l’aver cura di qualcuno.
Attraverso il racconto, questo mito riflette una profonda comprensione della natura umana e fornisce una chiave interpretativa della tensione profonda che attraversa l’esistenza tra l’elemento corporeo che richiama l’homo nella sua origine (humus) e l’elemento spirituale. Cura mantiene così l’essere umano elemento composto di terra e di spirito in un’unica unità. Il mito, in fondo, ci parla di noi e di come dovremmo essere come professionisti della salute. Comprendere la malattia va oltre l’aspetto diagnostico e nosologico, significa capire il modo con cui essa sorprende e compromette significativamente l’esperienza di ogni essere umano e di chi gli sta accanto, le sue emozioni, i suoi sentimenti, i suoi vissuti, le sue idee, le sue interpretazioni, il suo modo di essere e stare al mondo. Significa farsi carico del complesso e unico intreccio che unisce la malattia in sé al mondo vitale di ogni uomo che incontreremo nel nostro cammino personale e professionale. Significa anche considerare il duplice aspetto che la malattia inevitabilmente comporta: all’interno di una persona la separazione tra il corpo e lo spirito, all’esterno la separazione tra quella persona che è malata e il mondo che la circonda.