La malattia arriva in età più avanzata e si manifesta in modo diverso rispetto agli uomini. La cardiologa Francesca Buffoli: “Servono studi mirati, informazione e prevenzione”.
Le patologie cardiovascolari e coronariche colpiscono anche le donne e lo fanno senza risparmio in termini di disabilità e vittime. Manca però una coscienza collettiva forte, seppure nell’ultimo decennio l’attenzione del mondo scientifico e la mentalità comune abbiano fatto passi avanti in questa direzione. Francesca Buffoli, cardiologa della struttura di Riabilitazione Specialistica Cardiorespiratoria del Carlo Poma, da anni impegnata nello studio della medicina di genere e in progetti legati alla salute della popolazione femminile, ha approfondito l’argomento durante un incontro pubblico che si è tenuto lo scorso 2 marzo nel chiostro di San Barnaba. L’appuntamento è stato organizzato dall’associazione Donne per la salute.
Cosa ci dicono i numeri che rappresentano questo fenomeno? Perché tende ad essere trascurato?
Nel 2016 la mortalità femminile per le patologie cardiovascolari e coronariche nei Paesi europei è stata del 49 per cento, contro il 40 per cento di quella maschile. Storicamente la medicina si è preoccupata di curare l’uomo. Nelle donne ha prestato attenzione quasi esclusivamente all’apparato riproduttore e alla mammella. La medicina di genere ha invece come obiettivo primario lo studio non tanto delle malattie ‘delle’ donne, ma delle malattie ‘nelle’ donne. Allora le differenze sono dirompenti: nel modo di manifestare i sintomi, nella prognosi, nella risposta ai farmaci, aspetti ai quali solo da poco la ricerca ha iniziato a prestare attenzione. Basti pensare che oltre il 75 per cento degli studi clinici in cardiologia arruolano meno del 30 per cento di donne, non raggiungendo quindi un valore statistico significativo per il target femminile. L’aspetto più grave è tuttavia la scarsa percezione del rischio per patologia cardiovascolare che porta le donne a essere sottotrattate per mancato riconoscimento della patologia o per pregiudizi, mutuando approcci clinici validati nell’uomo. Come accennavo poco fa, esiste invece una specificità biologica, fisiopatologica e clinica della malattia cardiovascolare nella donna che andrebbe indagata in modo molto approfondito.
In cosa consiste questa specificità?
Innanzitutto, la donna si ammala generalmente in età più avanzata, con dieci anni di ritardo, in seguito all’arrivo della menopausa, in quanto gli estrogeni che circolando durante la vita fertile le garantiscono uno scudo ormonale. Anche se la malattia può presentarsi già in precedenza, complici alcune patologie come l’ovaio policistico, la preeclampsia durante la gravidanza, uno stress acuto, il diabete. I sintomi, poi, sono più vaghi e difficili da inquadrare, si registra una maggiore comorbilità, l’impatto delle terapie è diverso. Si assiste inoltre a un ritardo nella diagnosi e negli interventi, anche a causa della stessa mentalità della donna nei contesti familiari, che tende a ‘non volere arrecare disturbo’, quindi a rinunciare alla richiesta di aiuto. Ancora: le coronarie delle donne hanno calibro inferiore e le placche aterosclerotiche sono prevalentemente erosive nella donna e occlusive nell’uomo, quindi anche le terapia farmacologiche e interventistiche hanno impatto diverso
Cosa fare per invertire la rotta?
Le parole d’ordine sono consapevolezza e prevenzione. Asst Mantova vanta un’esperienza virtuosa in questo senso, in quanto ha promosso alcune importanti iniziative in collaborazione con l’Asl, con l’associazione Cuore Amico, sempre a fianco dei professionisti della sanità e dei pazienti e loro familiari. Nel 2011, in particolare, grazie al coinvolgimento delle farmacie della provincia abbiamo sottoposto un questionario a 2.500 donne, per valutare la loro percezione del rischio, che è risultata scarsa, come ancora insoddisfacente è risultata la conoscenza dei fattori di rischio e L’adesione a stili di vita corretti con riferimento ad esempio all’importanza del movimento e l’astensione dal fumo. Un altro progetto, nel 2014, aveva puntato sul momento del pap test per informare meglio le utenti e fare screening, tramite l’addestramento delle ostetriche al calcolo del rischio cardiovascolare, come primo momento di sensibilizzazione e informazione.
Quali sono gli obiettivi futuri?
L’idea è quella di dedicarci a ricerche mirate, che valutino le differenze di genere nelle risposte alle terapie farmacologiche e ai percorsi riabilitativi in ambito cardiovascolare. Ma è fondamentale anche informare il più possibile e modificare la cultura delle persone con campagne educazionali. Possono aiutare le giornate di sensibilizzazione, come quella lanciata di recente dall’American Heart Association, che promuove il National wear read day per il 2 febbraio 2024 e il 7 febbraio 2025: ci invita a indossare un abito rosso per ricordarci di noi e della nostra salute.