Fra il ‘700 e l’800 alcuni celebri medici parlarono di “cloaca infetta” e “aria pestilente” in un dibattito a suon di pubblicazioni. Poi il riscatto, a seguito della bonifica degli aquitrini e delle indagini di due studiosi alla fine del XIX secolo
L’insigne medico savoiardo François-Emmanuel Fodéré (1764-1835) che nel 1797, al seguito dell’armata francese, aveva partecipato all’assedio di Mantova, nel suo libro Mémoires de Médecine Pratique del 1800 definiva la città una “cloaca infetta” a causa del suo clima, soprattutto quello estivo. È possibile che il pregiudizio di un medico autorevole come il Fodéré avesse influenzato Carlo Botta (1766-1837), anch’egli medico arruolato nell’armata francese, nell’affermare che tutte queste difese “fanno la fortezza di Mantova, ma più ancora l’aria pestilente, che massimamente ai tempi caldi rende quei luoghi infami per le febbri, e per le molte morti, e fa le stanze pericolosissime, principalmente ai forestieri, non assuefatti alla natura di quel cielo”.
Con questa inquietante sentenza Botta descriveva la città nella sua Storia d’Italia dal 1789 al 1814 la cui prima edizione è del 1824. Le successive edizioni dell’opera riproposero ai lettori italiani il pregiudizio ottocentesco sull’aria di Mantova. C’è da chiedersi come potessero sopravvivere a Mantova in media circa 20.000 abitanti. A quel tempo si pensava ancora che le imperversanti febbri intermittenti (malaria) e le malattie a carattere epidemico derivassero dall’aria ammorbata dai miasmi, entità invisibili e impalpabili originati dalla decomposizione di materiale organico e, nel caso di Mantova, attribuiti all’acqua stagnante, alle erbe lacustri che imputridivano affiorando nei periodi di magra del Mincio, alle canne e agli effluvi causati dalle scadenti condizioni igieniche pubbliche e private entro le mura cittadine. Il puzzo che ne derivava e che infieriva sulla città, specialmente in estate, era considerato indice di aria malsana.
Eppure doveva essere nota al Botta l’epidemia di dissenteria che nel 1812 aveva colpito e ucciso parecchi dei soldati ricoverati nell’ospedale militare di Mantova risparmiando però la popolazione! Tale affezione non poteva essere stata causata dall’aria poiché comune a tutti. Non tardò a farsi sentire il disappunto dei mantovani nei confronti del Botta. È del 1826 il pamphlet Cenni sull’aria di Mantova attribuito al chirurgo Ippolito Cerchi che elencò, non senza enfasi, tutti gli interventi operati dall’autorità negli ultimi decenni tra cui l’essicamento degli acquitrini collocati entro le mura cittadine. Al posto di quelle che nel passato erano putride paludi ora vi erano innumerevoli piante, che “mentre assorbono le mefitiche esalazioni, espirano di continuo un’aria ossigenata e salubre alla respirazione animale”.
Era migliorata anche l’educazione igienico-sanitaria dei cittadini; ne risultavano una minor incidenza di malattie, in passato spesso letali, e un allungamento dell’età media. Luigi Preti, segretario della Camera di Commercio, scrisse nel 1842 una memoria con cui contestò il pregiudizio del Botta ritenendo fosse originato dalle molte morti e dai disagi causati dai due assedi subiti dai mantovani sul finire del ‘700: “Quale Eden beato avrebbe potuto mai preservarne i suoi abitanti, quando si fosse trovato nella infelice condizione in cui si trovò allora il disgraziato nostro Paese?…”.
Nel 1857 il pregiudizio persisteva al punto da indurre il rodigino Giovan Battista Soresina (1805-1885) a scrivere il saggio Cenni di topografia medico-igienica sulla città di Mantova. Quest’ultimo, medico condotto a Sermide e collaboratore del settimanale mantovano La Lucciola, conosceva bene il clima mantovano avendo trascorso quattro anni nel carcere del Castello di San Giorgio colpevole di cospirazione contro l’impero. Per contrastare il pregiudizio calcolò che l’incidenza di malattie come le febbri malariche e la mortalità media di Mantova erano inferiori a quelle dell’intera Lombardia e di altre città ritenute godere di un’aria più salubre: “E allora chi vorrà ancora sostenere che quivi regna un miasma palustre dannosissimo alla salute; chi vorrà sostenere che l’aria di Mantova sia un centro d’infezione eccezionale e pericolosa?”.
Intervennero infine nella polemica Antonio Selmi, insegnante di chimica presso l’Istituto Tecnico provinciale di Mantova e l’agronomo veronese Antonio Manganotti. Il primo, nel saggio Il Miasma palustre (1873), contestò l’azione patogena del puzzo di palude e l’esistenza dei miasmi così come erano sempre stati pensati, il secondo, confrontando parametri come la mortalità, l’età media e la incidenza di alcune malattie, dimostrò che Mantova godeva di condizioni ambientali più favorevoli rispetto a Verona, città erroneamente ritenuta più salubre (Sul clima e sulle condizioni igieniche nella città di Mantova, in Atti e Memorie dell’Accademia Virgiliana di Mantova, 1874). A tutt’oggi il giudizio più pacato e condivisibile circa l’aria di Mantova rimane quello di Dante che nel XX canto dell’Inferno sottolinea che “suol di state talor essere grama”.
Tratto dal periodico La Reggia, settembre 2020
di Andrea Zanca, direttore struttura Dermatologia ASST Mantova e membro dell’Accademia Nazionale Virgiliana