Premio nazionale di poesia Terra di Virgilio – Settima edizione   

Anche quest’anno è stato bandito il Premio nazionale di poesia Terra di Virgilio, promosso dall’associazione mantovana La corte dei poeti nell’ambito del Mantova Poesia-Festival Internazionale Virgilio. Il premio presenta due sezioni: Vita di scienza ed arte, per autori noti ed esordienti; L’ozio degli attivi, riservata a persone ospitate in strutture protette. La poesia dei luoghi difesi e tutelati, altrimenti definita “poesia dell’anima”, dà spazio all’espressione lirica di persone che praticano la scrittura come elemento di riscatto, di autocura e di reinserimento sociale. Si riportano qui le poesie della sezione L’ozio degli attivi, provenienti da case circondariali e strutture di cura e pubblicate nell’antologia del premio edizione 2021.

Di seguito le poesie di Alda Magnani, vincitrice della sezione L’ozio degli attivi, edizione 2021.

 

Alda Magnani – nata a Noceto nel 1938, ospite di Villa Picco – Casa di Riposo “Emmaus” Diocesi di Parma Porporano, Parma – già vincitrice della sezione “Ozio degli attivi” nel 2018

 

Mio nonno Vincenzo, uomo della terra
(alla ricerca delle mie radici)

 

Atto I°

Nel trasalire delle rimembranze
ancora lo rivedo
con l’austera imponenza dei suoi baffi.
L’ho visto praticare le fatiche
di chi lavora sulla terra d’altri
come fosse la propria, con passione.
Nella verde campagna
intorno a Parma
il nonno vigilava sulle terre
che furono dei Mutti:
Attilio, poi Medardo e altri?…
Non ricordo…
Nei giorni della semina del grano
armonizzava il passo contadino
con gesto ampio e sicuro
nell’aurea sventagliata
di chicchi in successione.
I campi seminati
vivevano il preludio del frumento
nell’autunno nebbioso,
sotto la coltre bianca della neve
e nel verde risveglio dell’aprile.

Mio nonno Vincenzo, uomo della terra
Atto II°

Garrivano le rondini
a ogni primavera
tornate al loro nido ben protetto
dentro la stalla o sotto i cornicioni.
Nonno, alto, forte,
braghe di fustagno,
ampio tabarro e sempre gilè nero
sopra il quale spiccava la catena
del suo orologio d’oro da taschino,
scarpe da solchi
e i suoi baffoni in resta,
girava sulle zolle fecondate
come per animarle.
Sembrava proprio un nume tutelare
protettore di messi,
a garanzia del pane sulla mensa,
di copiosi raccolti e di primizie.
Si aggirava nei campi, infaticabile
ed insegnava a tutti i sottoposti
il valore di qualche sacrificio
teso al miglioramento, una fatica
seguita dal silenzio del riposo.

Mio nonno Vincenzo, uomo della terra
Atto III°

Anche se tanti anni son passati,
conservo nell’archivio del mio cuore
la splendida figura in controluce
di mio nonno, che amava quella terra,
suo bucolico orgoglio, anche se a volte
un vento dispettoso a sette code
scarmigliava il raccolto
con impeti plebei o estive grandinate
mitragliavano i frutti già maturi.
Lo rispettavano i tanti dipendenti
assoggettati al balenar di falci
nei giorni delle messi.
Lo temevano i figli, una nidiata,
ma diversi d’aspetto e d’interessi.
Egli avrebbe potuto raccontarmi
a fil di baffi bianchi
la lunga storia delle sue radici
ma non ho mai osato interpellarlo.
Forse, dall’alto, il nonno guarda ancora
quella terra, i suoi campi, i bei filari
per scorgere, appurare, interpretare
ogni segno del cielo ed invocare
pioggia lenta e benefica su zolle
inaridite al sole dell’estate.

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