Presi in esame oltre 8.700 pazienti provenienti da 31 ospedali lombardi e trattati con questa pratica
Un aspetto peculiare della pandemia da COVID-19 è l’enorme numero di pazienti che hanno bisogno di assistenza respiratoria. Quest’ultima richiede spesso intubazione e ventilazione meccanica, causando una rapida mancanza di letti nelle terapie intensive. In questo contesto i medici hanno sperimentato l’applicazione della ventilazione non invasiva. Tuttavia, l’alto volume di pazienti, la mancanza di familiarità con lo strumento e le limitate possibilità di monitoraggio rappresentano preoccupazioni aggiuntive per questa pratica.
Da una parte, evitare l’intubazione potrebbe ridurre le complicanze associate alla ventilazione invasiva e, di conseguenza, morbilità e mortalità. Dall’altra parte, esistono diverse perplessità sull’utilizzo di questa strategia: la tecnica infatti potrebbe soltanto rimandare (e non evitare) l’intubazione che, se effettuata in una condizione di emergenza, potrebbe aumentare la probabilità di complicanze.
La struttura di Terapia Intensiva, Anestesia e Rianimazione del Carlo Poma, diretta da Gian Paolo Castelli, ha partecipato a uno studio che aveva l’obiettivo di descrivere la diffusione e le caratteristiche cliniche dei pazienti con COVID-19 trattati con la ventilazione non invasiva al di fuori delle terapie intensive, presi in esame in un singolo giorno e provenienti da 31 ospedali della Lombardia.
Sono stati collezionati dati su demografia, caratteristiche cliniche, gestione ventilatoria ed esito dei pazienti. Su 8.753 pazienti presenti negli ospedali nel giorno dello studio, 909 (10 per cento) stavano ricevendo la ventilazione non invasiva al di fuori delle terapie intensive.
Dopo il follow up di 60 giorni, i risultati sono stati determinati su 798 pazienti, mentre 37 erano ancora in ospedale. L’intubazione è stata applicata a 123 pazienti (15,4 per cento) dopo 5 giorni dall’inizio del trattamento, mentre 177 sono morti, senza essere intubati, 8 giorni dopo l’inizio del trattamento. Per 138 (78 per cento) di questi pazienti era stata presa una decisione di non intubazione. Il fallimento della ventilazione non invasiva, dunque, è avvenuto per 300 pazienti (37,6 per cento) mentre 498 (62,4 per cento) sono stati dimessi o trasferiti senza intubazione. La mortalità complessiva è stata del 25 per cento.
I pazienti per i quali è fallita la pratica erano più anziani e più fragili e avevano più frequentemente una storia di cardiopatia ischemica, diabete, malignità, abitudine al fumo attuale o passata. Inoltre questi pazienti avevano anche una peggiore funzionalità renale, maggior numero di leucociti nel sangue, una minore conta piastrinica e una proteina C-reattiva più alta. Lo stesso andamento è stato riscontrato anche nel gruppo di pazienti con una decisione di non intubazione. L’aumentare dell’età ha mostrato una tendenza verso un maggior rischio di fallimento, ma non ha raggiunto un’importanza statistica.
Cristina Pavesi è un informatico e lavora negli uffici della comunicazione di ASST di Mantova. Ama ballare country, viaggiare ed è appassionata di videogiochi.