Covid: “Con lo spirito di gruppo abbiamo salvato molte vite e molte ne salveremo”

Angoscia, incredulità, ma anche speranza nella testimonianza di un medico alle prese con l’emergenza: “Resterà il ricordo degli sguardi dei pazienti”

Venerdì 21 febbraio arriva la notizia del primo caso italiano di Covid-19 a Codogno (Lodi). In reparto ci interroghiamo tutti sul fatto, un po’ inquieti, ma sono gli ultimi giorni di carnevale e nel pomeriggio del sabato parto con la famiglia per una breve vacanza in montagna. Sono contenta, è cosa rara ritrovarsi liberi dagli impegni tutti e quattro contemporaneamente…Trascorro la domenica sulle piste da sci in allegria: una splendida giornata con il programma, sognato da tempo, di vivere altri tre  giorni spensierati  insieme. Ma il mattino successivo ecco una telefonata inattesa dal primario del mio reparto, telefonata che all’improvviso cambia tutto: “Dottoressa, c’è bisogno di lei, deve tornare urgentemente a Mantova!”

Martedì 25 febbraio (martedì grasso) alle 6 parto, al buio, sola. Prima il  pullman, poi due treni e sono molto contrariata. Che sarà mai successo di così grave? Leggo sul quotidiano articoli contraddittori, che mettono in dubbio la gravità del problema, ma ho un brutto presentimento… Fra le tante persone sui mezzi di trasporto e nelle stazioni, io sono l’unica a portare la mascherina e tutti mi guardano con fare interrogativo. Cosa sta succedendo?

Per alcuni giorni il lavoro in reparto in Medicina generale è relativamente tranquillo, ma il venerdì viene diagnosticato il primo caso mantovano di Covid-19 e nei giorni successivi dal Pronto Soccorso cominciano ad arrivare notizie inquietanti, che ci mettono tutti in allarme: sovraffollamento, attacchi per l’ossigeno insufficienti, numerosi casi gravi, polmoniti bilaterali…e decessi.

La prima settimana di marzo è la settimana della trasformazione della Medicina Supplementare in reparto Covid. È la settimana dell’incredulità, del panico, dello sgomento. L’8 marzo anche la sezione A della Medicina Generale diventa reparto Covid e il presidente del consiglio Conte decreta la chiusura della Lombardia: tutti a casa. Sulla prima pagina dei quotidiani del 10 marzo c’è la foto di un’infermiera di Cremona che, durante un lungo turno di lavoro in mezzo ai malati di Covid, si è addormentata sul computer, stremata.

Il 12 marzo tutta l’Italia è chiusa. La nostra città, Mantova, è deserta, surreale, vado al lavoro in bicicletta percorrendo strade vuote, tristi, da incubo. Il 19 marzo cominciano a sfilare per le vie della provincia di Bergamo file di camion militari pieni di bare: il crematorio della città non è più sufficiente. A Cremona, Piacenza, Lodi, Brescia, Bergamo, ogni 1.000 abitanti ci sono fino a 9 casi gravi, colpiti da una polmonite virale talora fulminante. Quanta tristezza e quanta angoscia!

Sui terrazzi la gente canta e disegna arcobaleni per dire “Ce la faremo”, “Andrà tutto bene” e ci chiamano eroi. Fuori dalle farmacie la gente fa la coda per acquistare mascherine. Fuori dai supermercati la coda per fare la spesa. Tutti gli altri negozi sono chiusi. La scuola, chiusa dal Carnevale, non riapre più e il 14 aprile sulla prima pagina dei quotidiani campeggia il titolo: “La scuola è finita”.

In ospedale facciamo fronte a rapidi e continui cambiamenti organizzativi. I reparti di Medicina generale (oltre 60 posti letto), Chirurgia generale, Urologia, Chirurgia toraco-vascolare, oltre che Malattie Infettive, vengono trasformati in reparti Covid dove medici, infermieri e Oss di varia provenienza lavorano insieme, adattandosi rapidamente al nuovo impegno, al nuovo tipo di lavoro, ai nuovi colleghi e al rischio di contagio.

Alcuni non lavorano in un reparto di degenza da anni, altri sono meno esperti, ma tutti sanno fronteggiare bene la situazione e possono operare in relativa tranquillità perché sono parte di un gruppo affiatato. Le eterogenee équipes si organizzano rapidamente, da subito la collaborazione è stretta e forte è lo spirito di gruppo, nonostante la paura di contagiarsi, la mancanza di mezzi per sconfiggere il nemico, la rabbia e la sensazione di impotenza o di inadeguatezza. Peraltro la multidisciplinarietà delle équipes è utile dal punto di vista clinico nell’affrontare la nuova patologia infettiva che ci ha investito.

È un’esperienza totalizzante che porta molti di noi a fare ben oltre il proprio dovere per non abbandonare i malati. Noi mostriamo solo i nostri occhi e parliamo solo attraverso una maschera. Tutti i malati sono isolati e silenziosi, lontani dai propri affetti, alcuni anche senza cellulare per cui facciamo alcune videochiamate con i nostri telefoni. Tutti i giorni parliamo con i familiari dei ricoverati e rispondiamo anche alle frequenti telefonate dei pazienti ambulatoriali che abbiamo dovuto abbandonare per quattro mesi.

Al rientro a casa, lascio le scarpe nell’ingresso e vado subito sotto la doccia; trovo le figlie davanti al computer per lezioni scolastiche o per parlare con gli amici o per una lezione di ginnastica: le riunioni “a distanza” entrano nella quotidianità. Poi leggo tanto per seguire con attenzione non solo i quotidiani e gli aggiornamenti medici sul Covid (diagnosi, complicanze, terapia), ma anche il lungo bollettino quotidiano dell’unità di crisi dell’ospedale, i moduli delle autocertificazioni (più volte modificati) e i famosi DPCM del presidente del consiglio Conte.

Di una cosa, comunque, siamo assolutamente certi: con la collaborazione fra tutto il personale (sanitario e non), la multidisciplinarietà e la volontà di curare e di provare ogni opzione terapeutica, con la caparbietà e lo spirito di gruppo, abbiamo potuto salvare molte vite e ancora lo faremo. Resterà il ricordo delle persone decedute in solitudine, degli sguardi dei pazienti e dei pianti dei familiari al telefono.

Purtroppo la seconda ondata epidemica è già iniziata, la Lombardia è di nuovo zona rossa, l’organizzazione di tutto l’ospedale cambia un’altra volta, ma noi siamo pronti ad impegnarci ancora!

Barbara Presciuttini è un medico della  Medicina Generale Mantova ASST Mantova     

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