Una tecnica utilizzata anche in contesti sanitari per ridurre il rischio di burnout, migliorare il clima lavorativo, sentirsi più vicini ai colleghi, abbattere le difese
Il sogno può avere una dimensione sociale? Si può sognare insieme per scoprire connessioni fra gli uni e gli altri, aspetti imprevedibili dell’esistenza, attingendo magari all’inconscio collettivo? Il Social dreaming –sognare sociale – è questo e molto altro. All’interno di un gruppo, ciascuno racconta il proprio sogno e si crea un intreccio sorprendente. Così capita di fare tornare a galla ricordi sprofondati nel mare della vita o di sentirsi più uniti. Lo psichiatra e psicoterapeuta Giancarlo Stoccoro pratica da anni con successo questo metodo. Direttore sanitario di comunità a doppia diagnosi (pazienti psichiatrici e tossicodipendenti) per la cooperativa L’Ancora di Sanremo, formatore, saggista, poeta, Stoccoro scende nella palude dei viaggi notturni condivisi e ne rivela i segreti.
Che cos’è il Social Dreaming?
Si tratta di una tecnica ideata agli inizi degli anni ‘80 dal socioanalista inglese Gordon Lawrence al Tavistock Institute. Da allora, la metodica è utilizzata in tutto il mondo da istituzioni, aziende, realtà sanitarie, luoghi di guerra, carceri. C’è una matrice, da mater (utero, ndr), uno spazio temporaneo della durata di circa un’ora in cui vengono condivisi i sogni e le libere associazioni delle persone che partecipano all’incontro. Ciascuno a turno e di sua iniziativa si racconta, con l’aiuto di un conduttore che ha il compito di facilitare l’attività. I singoli sogni non vengono interpretati ma, attraverso la libera associazione, l’amplificazione tematica e il pensiero sistemico, si connettono gli uni agli altri. Emerge così una molteplicità di significati, si creano angoli di visione inaspettati, a testimonianza di quanto ciascuno di noi sia collegato all’ambiente sociale, culturale, naturale.
Quali sono gli obiettivi?
In ambito lavorativo, ad esempio, il Social dreaming può aiutare a reinvestire su se stessi, a riconoscere che alcune paure nostre sono simili a quelle dei colleghi, a ritrovare un clima meno saturo di proiezioni negative. È utile anche per abbassare le difese e l’atteggiamento di distacco che permettono di sopravvivere in certi contesti, per ridurre il rischio di burn out, per migliorare il clima organizzativo. Ci si sente più vicini agli altri e meno soli di fronte alle difficoltà. Dagli inizi del 2000 ho fatto ricorso al social dreaming nel ruolo di formatore in reparti delicati dell’ospedale di Melegnano, come l’Oncologia. Successivamente ho esteso la pratica alle scuole, nel Lodigiano e nel Cremasco, alla casa circondariale di Como. E fuori dagli ambiti istituzionali: ai cinema, ai teatri, alle biblioteche. Un’esperienza molto significativa è maturata a Kiev nel 2012, nell’ambito di un gruppo di medici, psicologi e docenti universitari. In molte situazioni ho associato il Social dreaming alla visione di un film, grazie al progetto Ciack, si sogna. Il cinema facilita il lavoro, perché spesso ci immedesimiamo in un personaggio o in una situazione. Così si rompe anche il ghiaccio.
Un aspetto di questa avventura che le sta più a cuore di altri?
Il Social dreaming aiuta a sostenere l’incertezza che contraddistingue la vita. Spesso, anche nelle relazioni, ci fermiamo prima che si sviluppi qualcosa di profondo, proprio perché temiamo l’incertezza.
A volte sembra che i sogni siano più reali della realtà…qual è il rapporto fra sogno e realtà?
Se vivessimo sempre in sogno ci confronteremmo con un eccesso di realtà non filtrata, invece abbiamo bisogno di un filtro. Il sogno è una realtà accompagnata dalle sue ombre. Emergono tante parti di noi, quelle maschere che spesso indossiamo, e siamo più in contatto con il mondo. Come nella poesia ogni parola ha un significato ancora da scoprire, anche nel sogno ci appaiono immagini a noi sconosciute, che vediamo per la prima volta. Nella vita di tutti i giorni crediamo di non fare caso a certi dettagli, nei sogni invece compare un particolare che non avevamo mai considerato prima e che ci scuote.
Elena Miglioli è il direttore del periodico Mantova Salute, responsabile dell’Area Ufficio Stampa, Comunicazione e Urp ASST di Mantova. Giornalista professionista, scrittrice, poetessa. Ama tutte le forme d’arte, ma mette la musica (classica) al primo posto.