Il progetto intende rafforzare i servizi di assistenza infermieristica territoriale
L’infermiere di famiglia e comunità viene per la prima volta annunciato nella Legge regionale del 23 del 2015, dove si indica che “…è istituito il servizio dell’infermiere di famiglia e delle professioni sanitarie…”. Nel 2019, è stata siglata un’intesa tra il governo e le regioni relativa al “Patto della salute per gli anni 2019/2021”, secondo il quale nell’ambito dello sviluppo delle reti territoriali si dovrà promuovere “…l’assistenza infermieristica di famiglia/comunità…”. Infine, la Legge 77/20 istituisce il ruolo dell’infermiere di famiglia e comunità e ne delinea la cornice concettuale di riferimento: “…al fine di rafforzare i servizi infermieristici, con l’introduzione altresì dell’infermiere di famiglia o di comunità…”.
Ne derivano due delibere della Giunta di Regione Lombardia che indicano: il numero (64) di infermieri che dovrebbero essere dedicati dall’ASST di Mantova a questa funzione; come dovrebbe essere declinata sul nostro territorio tale responsabilità. Dopo la diagnosi e la prescrizione della terapia da parte del medico, le necessità di questi cittadini non cessano: c’è bisogno di rilevarne i sintomi, l’adattamento e la risposta terapeutica, l’adeguamento a idonei stili di vita, il tutto con l’attivazione della rete sanitaria che costituirà l’equipe entro cui opererà il nuovo professionista.
Questa figura ha conoscenze e competenze specialistiche nell’area infermieristica delle cure primarie e sanità pubblica. Eroga cure che includono la promozione della salute, la prevenzione delle malattie e la presa in carico infermieristica in caso di pazienti cronici. È inserito nell’ambito dell’organizzazione socio sanitaria e collabora integrandosi con le altre figure professionali. La sua sede di lavoro è la casa delle persone, sono gli ambulatori infermieristici, le strutture intermedie. Valuta i bisogni assistenziali, si occupa di prevenzione, definisce piani assistenziali infermieristici, attiva consulenze infermieristiche, forma le persone di riferimento per l’assistito, collabora a strategie di continuità ospedale-territorio, interagisce con team multiprofessionali e altro ancora.
Ovviamente stiamo parlando di un progetto che richiederà del tempo per poter essere pienamente realizzato. Si dovrà stabilire a livello locale: cosa ci aspettiamo da questo professionista; l’organizzazione in cui inserirlo; il reperimento delle risorse; i meccanismi di integrazione e coordinamento, gli strumenti di lavoro condivisi dall’equipe territoriale; un adeguato percorso formativo, che a regime non potrà che essere un master di primo livello.
Infine, questo professionista non è né l’infermiere collocato nello studio medico, né l’infermiere che garantisce esclusivamente prestazioni in assistenza domiciliare integrata, ovvero un’assistenza bastata sulla prestazione. Dovrà invece essere proattivo, attivando una rete di collaborazioni con tutte le figure sanitarie e sociali presenti sul territorio, il medico di medicina generale e gli altri specialisti sanitari e sociali di cui il paziente ha necessità.
Franco Vallicella è il direttore del SITRA, Servizio Infermieristico Tecnico Riabilitativo Aziendale. È presidente dell’Ordine Professione Infermieri di Verona.
Faccio fatica ad immaginare la collaborazione con il medico di famiglia generale, più facile con le altre figure per il semplice fatto che in ambulatorio molti medici non tengono acceso il cellulare o il telefono. Loro hanno già il lavoro programmato tutti i giorni con l’ambulatorio fino a 50-60 persone,le visite a domicilio, le ricette per la segreteria, insomma come fa un infermiere che deve comunicare i sintomi e dire come sta l’ammalato se non può comunicare e dialogare con il curante. Ecco il vero problema. Faccio fatica a vedere partire il progetto. E poi ci sono i Medici che remano contro perchè si tratta di caricare di ulteriore lavoro professionisti che già hanno il loro lavoro, burocrazia compresa.. Come farà il nostro bravo infermiere, disponibile, preparato, organizzato con il resto della rete socio-sanitaria, dove la comunicazione è più facile ma che non riesce a comunicare con il curante che è la figura centrale di tutto il progetto?