Ormone della crescita, la Pediatria di Mantova firma uno studio internazionale

Sotto la lente la sicurezza a lungo termine della terapia. Coinvolti 8 Paesi, tra i quali l’Italia, e oltre 24mila pazienti

Uno studio multicentrico internazionale sulla sicurezza a lungo termine dell’ormone della crescita. È stato pubblicato sull’ultimo numero della rivista scientifica The Lancet Diabetes & Endocrinology e vede tra i ricercatori anche l’endocrinologia della struttura di Pediatria di Mantova. Lo studio è molto significativo, perché compensa alcune lacune della letteratura scientifica esistente. I lavori realizzati in precedenza, soprattutto da case farmaceutiche in fase post marketing, presentano alcuni limiti: coorti di pazienti ristrette; periodo d’osservazione limitato e spesso concentrato solo al periodo di trattamento.

Il rapporto tra i benefici gli effetti collaterali è da sempre la principale guida per lo sviluppo e utilizzo di qualsiasi terapia. L’analisi della sicurezza diviene più complessa quando si tratta di valutare potenziali effetti collaterali in età adulta di terapie assunte in età pediatrica e adolescenziale. La necessità di sicurezza aumenta ulteriormente in quelle patologie in cui vi sia un significativo impatto sulla salute psico-fisica del bambino, ma non si creano compromissioni d’organo e pericoli per la vita. È questo il caso dello scarso accrescimento dove sono meno accettabili terapie con significativi effetti collaterali, come invece avviene per patologie a maggior rischio di vita come ad esempio le terapie antineoplastiche.

Lo scarso accrescimento staturale è un sensibile marker della salute in età infantile, pediatrica e adolescenziale, sebbene aspecifico. Numerose sono infatti le patologie che possono manifestarsi con una riduzione della crescita, sia come unico segno sia in associazione ad altra sintomatologia. Quando si riesce a determinarne la causa e risolverla, spesso l’organismo manifesta una crescita di recupero, tornando all’accrescimento fisiologico originario. Ma questo non sempre avviene.

Lo studio multicentrico al quale ho partecipato si concentra sull’ormone della crescita ricombinante umano (rhGH), sempre più diffuso negli anni per la cura di patologie che comportano uno scarso accrescimento, tra le quali il deficit di GH, la sindrome di Turner, l’insufficienza renale cronica, i bambini nati piccoli per l’età gestazionale senza crescita di recupero (SGA), la Sindrome di, il deficit del gene SHOX. Esiste poi il delicato capitolo dei pazienti pediatrici sopravvissuti a patologie neoplastiche, i quali possono giovarsi dell’azione del rhGH una volta risolta la patologia di base.

Si mantiene alta quindi la necessità di continuare a valutare la sicurezza di tale terapia su una popolazione sempre più ampia e su un lunghissimo termine. Nel 2009 ha cominciato a formarsi un comitato di endocrinologi pediatri europei con lo scopo di organizzare un ampio studio indipendente sulla sicurezza del GH a lungo termine. Lo studio, denominato SAGhE, ha coinvolto 8 differenti paesi europei tra cui l’Italia,  includendo più di 24.000 pazienti che avevano assunto rhGH, per differenti patologie, prima dei 19 anni. Lo scopo era di analizzare il rischio di mortalità della popolazione trattata rispetto alla popolazione generale.

I pazienti sono stati suddivisi in tre categorie di rischio, in accordo con la patologia di base che aveva portato al trattamento. Il gruppo a basso rischio, suddiviso in ulteriori due gruppi, ha incluso nel il deficit di GH, la bassa statura idiopatica e i bambini SGA. Il gruppo a rischio medio ha incluso le forme sindromiche, i difetti ipofisari multipli, i tumori ipofisari benigni, le patologie croniche e le malformazioni severe. Il gruppo a rischio elevato ha invece incluso l’insufficienza renale cronica e tutti i pazienti sottoposti a terapie per patologie tumorali maligne. Il periodo medio di follow-up è stato di 16,5 anni.

Nonostante alcuni limiti – tra questi la mancanza di un gruppo di controllo – questo studio è il più ampio progetto di sorveglianza farmaceutica indipendente che si sia mai svolto sul rhGH, e dimostra come la terapia risulti sicura a lungo termine. La mortalità osservata nelle categorie più a rischio appare direttamente correlabile alle severe patologie diagnosticate precedentemente all’inizio della terapia, senza una correlazione con la dose e la durata della terapia stessa. Sebbene i dati appaiono rassicuranti, un attento e prolungato follow-up dei pazienti in terapia con rhGH è altamente raccomandato per continuare ad assicurare alti livelli di sicurezza.

Claudio Giacomozzi è medico della struttura Pediatria Mantova ASST Mantova

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