Difendersi dalle bufale è possibile. Se lo si vuole

Un fenomeno sempre più presente, ma che può essere combattuto. Indispensabile è che ognuno faccia la propria parte

Devo ringraziare il mio professore di religione del liceo. Iniziava tutte le lezioni dei cinque anni chiedendoci se avevamo qualche domanda. Spesso i suoi studenti esordivano con “ho letto questa notizia”, “ho saputo di questa novità”.
Silenzio.

Sei risalito alla fonte?”

Iniziava così ogni lezione. Per questo lo ringrazio. Mi ha insegnato ad andare alla fonte e a sviluppare un’intelligenza critica necessaria per affrontare la marea di informazioni che il mondo ci fornisce. Perché per farsi un’opinione è necessario conoscere. E per conoscere serve scavare fino alle fondamenta della notizia, non avere paura di chiedere e nemmeno di sbagliare.

Bufale e fake news sono ormai all’ordine del giorno. Generano disinformazione e confusione. Si tratta di un fenomeno che, ai tempi dei social, ha avuto un’importante espansione: la velocità di diffusione è notevole poiché vengono condivise con grande facilità da moltissime persone che, in questo modo, si rendono complici della divulgazione di informazioni tronche o totalmente scorrette.

Ma facciamo un passo indietro. È curioso l’etimologia stessa del termine “bufala”. Secondo l’Accademia della Crusca deriva dall’espressione “menare per il naso come una bufala” ovvero portare a spasso l’interlocutore trascinandolo per l’anello attaccato al naso, come si fa con i bufali.
Secondo Giorgio De Rienzo, linguista italiano, la parola deriva dal dialetto romanesco e viene usata per indicare una persona ottura e rozza come i bufali. Ma non sono le uniche opzioni. Altri studiosi pensano che la possibile etimologia sia legata all’espressione “pescare a bufala”, una tecnica di pesca difficile che in caso di errori può portare a disastri. Altri ancora pensano che derivi da un escamotage utilizzato da alcuni ristoratori romani che ingannavano la clientela servendo carne di bufala spacciandola per carne di vitello, più pregiata e più costosa.

Ad oggi si tratta soprattutto di leggende metropolitane che hanno per lo più un fondamento di verità, ma che – nel passaparola – assumo connotazioni sempre più lontane dalla realtà fino a sembrare quasi totalmente inventate e disconnesse dalle loro radici reali. Vengono divulgate tramite i social e app di messaggistica istantanea come WhatsApp.

Spesso fanno leva sui buoni sentimenti delle persone, sul senso di giustizia e di indignazione delle stesse e, in generale, su una buona dose di pigrizia e di fretta che impedisce di indagare e volerne sapere di più. Basti pensare che nella società frenetica in cui siamo, spesso l’unica parte di un articolo che viene letta è il titolo.

La capacità di riconoscere una notizia vera da una falsa è alle basi del giornalismo. Tuttavia, nell’epoca della comunicazione digitale, i professionisti dell’informazione stessa incorrono in errori, spesso in buona fede, dovuti alla velocità con cui gli utenti si aspettano la notizia. Quest’ansia genera contenuti non sempre precisi, puntuali e verificati.

Come se non bastasse la dimostrazione della falsità della notizia che segue il diffondersi di fake news arriva con un ritardo di circa 10 ore e non riesce a interrompere la diffusione della stessa.

Difendersi è possibile. Ma ognuno deve fare la propria parte. Gli strumenti a nostra disposizione ci permettono di discernere il vero dal falso, se ben utilizzati. È necessario il buon senso, l’umiltà e il desiderio di mettere in discussione le proprie idee. Bisogna essere attenti e vigili, indagare e confrontarsi. È molto utile non avere la presunzione di essere esperti di ogni settore, fidarsi dei professionisti e sviluppare una coscienza critica che si basa sulla conoscenza e non sulle sensazioni o il sentito dire. È altrettanto importante riconoscere nelle fonti ufficiali un interlocutore di qualità che fornisce informazioni fondate e verificate. E se ci sono dubbi o curiosità, chiedere non solo è lecito, ma diventa obbligatorio quando non si desidera cadere in complottismi che non aiutano nessuno.

Nell’era dell’informazione, l’ignoranza è una scelta” – afferma Donald Miller. Ricordiamolo anche noi.

 

Maddalena Bellei è una graphic designer e lavora negli uffici della Comunicazione di ASST. Ha capito lo scopo della sua vita grazie ad Alessandro D’Avenia: “Strappare la bellezza al mondo ovunque essa sia e regalarla a chi ti sta accanto: per questo sono al mondo”. Ama la fotografia, il cinema, il mare e Nicolò al quale deve tutto.

 

1 Commento
  1. Bell’ articolo, va alla radice del problema della facknews: diffusione istantanea e non altrettanto rapida smentita. Su un altro livello c’è il problema che in Rete trovi “quello che VUOI trovare” e la condivisione senza approfondirne l’ origine porta chi non è sufficientemente preparato culturalmente, a credere e diffondere, in buona fede, ciò che parla alla “pancia” e non al cervello.
    Laura Mutti

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