“Fare l’infermiera è anche entrare nel cuore delle persone”

La testimonianza toccante di una studentessa tirocinante: “Il lavoro più bello del mondo”

Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza di una studentessa del corso di laurea in Infermieristica con sede al Carlo Poma (Università degli Studi di Brescia).

Sveglia alle 5,20, per la verità avevo passato una notte alternando le veglie agli incubi. Mi preparai di fretta per andare in ospedale. Era il mio primo giorno come tirocinante infermiera e mentre mi guardavo allo specchio, le domande che nella notte avevano disturbato il mio sonno riaffiorarono: saprò relazionarmi con i pazienti? Sarò simpatica la mia tutor? Avrò studiato abbastanza? E infine:” sarò all’altezza?”. Scesi nei sotterranei dell’ospedale e individuato il mio armadietto mi infilai la divisa, sentendo che mi proteggeva, legittimando in qualche modo la mia presenza. Costrinsi i capelli in una coda ben tirata, sistemai il cartellino e il fonendoscopio nella tasca. Ero perfetta, la divisa sembrava fatta su misura per me. Arrivai davanti alla porta del reparto con dieci minuti di anticipo. Il tempo sembrava scorrere più lento del solito e alla fine il nodo alla gola stringeva tanto forte da costringermi ad entrare.

Entrai nel reparto e individuata la guardiola mi presentai alle infermiere, cercando di individuare la mia tutor, che mi avrebbe seguita in questo percorso. Appena la vidi mi sentii in buone mani. Iniziò il turno e man mano che il tempo passava la sensazione di “pesce fuor d’acqua” svanì. Concluso il mio primo turno del mio primo tirocinio uscii dal reparto e solo in quel momento, quando tutta l’adrenalina che avevo accumulato si stava esaurendo, mi resi conto che forse, finalmente, avevo trovato la strada giusta.

I giorni passarono velocemente e con loro aumentava la mia voglia di fare, di migliorarmi. La mia paura più grande, prima di iniziare questo percorso era quella di non riuscire a mantenere un distacco emotivo adeguato nelle varie situazioni, infatti mi meravigliai quando mi accorsi che ero capace di non farmi travolgere dagli eventi… fino a quando non venne ricoverata una donna che mi fece riflettere sulla vita, sull’importanza della figura dell’infermiere e delle piccole cose.

Aveva forse 65 anni. Soffriva di varie patologie, era non vedente ed era costretta a stare continuamente a letto, in quanto non poteva muoversi. Nonostante tutti i suoi problemi di salute aveva un bel caratterino e pian piano se ne accorse tutto il reparto, degenti inclusi. Inizialmente appena la vidi ebbi un po’ di timore, appariva ai miei occhi una situazione più grande di me, mi chiedevo se fossi stata capace di assisterla in modo opportuno.

Durante i primi giorni ogni qual volta dovessi entrare in quella stanza facevo un lungo sospiro e mi ripetevo che sarei stata in grado di assisterla. E fu così che ogni giorno mi fermavo sempre più tempo in quella stanza, per poterla assistere, parlare o solamente farle un po’ di compagnia. Mi raccontava di suo figlio e dei suoi nipoti, della sua vita prima della malattia, di suo marito, che sue testuali parole: “Mi è vicino nonostante il mio caratteraccio e nonostante io non sia più una bella ventenne”. Mi chiedeva di me, di dove fossi, e perché avessi scelto questa professione.

Senza volerlo mi affezionai a lei, alle sue crisi di rabbia notturne, alle sue urla quando non le andava di fare qualcosa, insomma mi resi conto che tra noi si era creato un legame, mi sentivo utile, mi piaceva vederla stare un po’ meglio e sapere che quando non c’ero lei chiedeva dove fossi.

Ricordo l’ultima volta che la vidi prima della dimissione, avevo il turno di notte e lei, come spesso accadeva, non voleva dormire; andai lì e le chiesi quale fosse il problema, mi rispose che si sentiva sola. Presi una sedia e mi misi seduta per passare qualche minuto con lei, facendole compagnia e  sperando di riuscire a tranquillizzarla un po’. Prima di finire il turno tornai da lei per salutarla e per controllare come stesse. Le dissi che stavo andando via e che, anche se in un contesto del genere, ero felice di aver conosciuto una persona come lei.

Lei mi prese la mano e mi disse “quando torni? Non voglio che vai via…nessuno mi tratta bene come mi tratti bene tu, tu mi vuoi bene, ed io lo voglio a te.” Quelle parole mi riempirono il cuore. Se avessi potuto l’avrei stretta in un abbraccio, uno di quelli veri. Quel giorno lasciai l’ospedale con mille pensieri nella testa, pensai a quanto è dura questa professione ma anche a quanta soddisfazione può dare, a quanto importante puoi diventare per una persona che ha bisogno e che fare assistenza infermieristica è anche entrare nel cuore delle persone. Uscii con la consapevolezza che l’infermiera è uno dei lavori più belli, impegnativi e soddisfacenti del mondo.

Claudia Manni, studentessa tirocinante

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