Quest’anno ricorre il decimo anniversario della fondazione della struttura Cure Palliative del Poma. Riceviamo e pubblichiamo in questa rubrica le testimonianze degli operatori dell’ASST, protagonisti di questa esperienza di grande impegno e valore sotto il profilo professionale e umano (continua dal numero di agosto di Mantova Salute).
Giunge in hospice a giugno dopo un accesso al Pronto Soccorso per deperimento organico, grave inappetenza, astenia importante che ne ha quasi annullato l’autonomia motoria. Soffre da tempo di neoplasia prostatica con metastasi ossee. Vive solo, non si è mai sposato, non ha fratelli e sorelle, solo cugini e nipoti. Ha lavorato moltissimi anni come ragioniere in questa azienda…dice con orgoglio durante il colloquio all’ingresso e adesso ci ritorna per morire.
L’uomo racconta della sua vita di dipendente ospedaliero, del lavoro preciso e puntuale e di tutte le persone che ha conosciuto, di cui ha preparato le buste paga e che…adesso non ci sono più. Le condizioni cliniche appaiono scadute da subito, ma per un breve periodo torna ad alimentarsi, con una modesta ripresa motoria. Preciso, metodico, abitudinario, attaccato ai piccoli riti quotidiani. Ora, come è stato per tutta la vita. Contento e riconoscente per questo discreto benessere inaspettato, si scontra poi con un progressivo peggioramento. Fatica a respirare.
Una sera, durante il giro della terapia notturna, vedendolo affaticato nel parlare glielo faccio notare…lui mi guarda negli occhi e dopo qualche attimo di silenzio dice: perché vedi la mia fatica e non fai finta di niente? Perché non mi dici fatti forza, devi lottare e non minimizzi quello che vedi?
Rispondo che la malattia sta lavorando…che lo vedo affaticato e lo vorrei aiutare. Mi ringrazia per la schiettezza e vorrebbe che non gli si dicesse di farsi forza e di lottare. Concordo di riferire al medico per impostare la terapia una adeguata. Nel frattempo procedo a somministrare la cura prescritta e lui lentamente si addormenta.
Si risveglia alle 3.30, sento che si muove nel letto ripetutamente, non chiama, entro in stanza e chiedo se ha bisogno. Mi risponde che sta pensando a quello che ci siamo detti la sera e mi chiede la terapia per continuare a dormire. Passano i giorni e dice di essere sempre stanco, di non avere appetito, ma si sforza di mangiare e di avere voglia solo di dormire. Come mai gli succede questo? Poi mi chiede come muoiono le persone che hanno la stessa malattia…si chiede se le cose potevano andare diversamente se si fosse sposato, mi dice di essersi anche innamorato ma che sua mamma, molto gelosa perché figlio unico, glielo ha impedito. Dice che suo padre era molto innamorato della mamma, ma che lei non lo amava e aveva riversato su di lui tutto il suo amore. Mi dice di aver fatto molte rinunce, anche fisiche, sofferte. E adesso era qui, distrutto fisicamente, pelle e ossa. Dopo qualche attimo di silenzio mi dice: però lei non fa fatica a parlarmi di morte…(quasi con rimprovero). Gli rispondo che ha parlato lui di morte, non io, e che comunque vada saremo al suo fianco per aiutarlo. La sua risposta: allora, adesso, basta parlare…
Ines Benlodi, infermiera