Quest’anno ricorre il decimo anniversario della fondazione della struttura Cure Palliative del Poma. Riceviamo e pubblichiamo le testimonianze degli operatori dell’ASST, protagonisti di questa esperienza di grande impegno e valore sotto il profilo professionale e umano (continua dal numero di agosto di Mantova Salute).
Oggi Daniela mi accoglie sempre sorridente, ma noto qualcosa di diverso in quel sorriso. Le chiedo: «Come va?». Lei: «Bene!». Io: «Sicura?». Non era il solito «bene» di tutti i giorni, c’era come un sottofondo di dolore, quasi a volermi nascondere un «male», che non dipendeva da me.
«Non bene come ieri».
«Perché?». Pausa di silenzio in cui ci guardiamo fisse negli occhi. Il suo sguardo e il suo sorriso sono velati di una malinconia insolita in quegli occhi sempre così limpidi e calorosi.
«Questa notte ho fatto un sogno…no, un incubo… così brutto che mi fa stare ancora male».
«Me lo vuoi raccontare?».
«No, ho paura!».
«Io sono qui, se vuoi ti ascolto, se vuoi me lo racconti, se vuoi parliamo d’altro, se vuoi…». Mentre dico queste cose nel pieno rispetto delle sue volontà lei mi interrompe.
«Ma sì, te lo racconto», e inizia il suo racconto aggrottando la fronte, tenendo forte le lenzuola tra le mani fino quasi a coprirsi il volto come per potersi riparare in qualche modo dall’orribile visione.
«C’era un mostro un terribile mostro, brutto veramente brutto che mi trascinava nel baratro…ma la cosa più brutta era…». Silenzio. Cercava le parole, quasi a non voler dire quanto di brutto c’era in quella visione.
«La cosa più brutta è che quel mostro era mia madre…è stato terribile!». Lunga pausa di silenzio in cui io, guardandola negli occhi e prendendole la mano, penso a quanta sofferenza deve aver provato questa donna.
«Era un mostro alato che scendeva sotto le lenzuola, vai Paolo a prendere i mostri della Simona!».
Non ho più domande, posso solo stare lì, ricevere il suo dolore, ascoltare questo fiume in piena di sentimenti, speranze, ultimi desideri. E il mio stare lì permette a Daniela di raccontarmi del suo rapporto con la mamma, delle sue paure e difficoltà, del suo desiderio di parlarle e salutarla come non ha potuto fare la sorella minore morta pochi anni fa.
«Vedi Anna, io adesso avrei bisogno della mia mamma…». Io trattengo a fatica una lacrima.
Paolo, suo marito, torna dopo alcuni minuti. Credo abbia rispettato i tempi del racconto, quasi a non voler interrompere questa amara e difficile confessione, con due statuette a forma di mostri, sono di Simona, la sua seconda e unica figlia. Già, perché Silvia, la primogenita è morta all’età di 6 anni, dopo un malattia oncologica durata 4 anni.
Ho saputo stare ad ascoltarla e alla fine mi sono sentita dire: «Anna, hai ragione, mi ha fatto bene parlarti, mi ha fatto bene raccontarti, mi sembra meno brutto adesso…».
Daniela Anna De Lissandri, infermiera