La lotta alla psoriasi diventa un romanzo

Paziente del Poma finalista a un premio nazionale: ‘Medici e infermieri mi hanno sempre sostenuto’

di Elena Miglioli
Direttore responsabile Mantova Salute

 

Ha sconfitto il suo disagio e i tabù legati alla malattia e li ha raccontati in un romanzo, classificandosi fra i tre finalisti del Premio nazionale Sergio Chimenti. Il mantovano Claudio Di Benedetto, paziente della struttura di Dermatologia dell’ospedale di Mantova, ha trovato il coraggio di mettere nero su bianco il suo percorso nel libro Tutto in una notte. Convivere con la psoriasi. Il concorso letterario è stato indetto da A.DI.PSO.-Associazione nazionale per la Difesa degli Psoriasici, in collaborazione con Osservatorio Sanità e Salute: era dedicato alle opere incentrate sul tema della malattia. Di Benedetto racconta la sua avventura letteraria.

Come è riuscito a trasformare la sua esperienza di malattia in un romanzo e perché ?
Tutto è nato un mattino di primavera. Dopo trent’anni mi sono svegliato e ho sentito una irrefrenabile necessità di scrivere del mio vissuto con la malattia. Le parole correvano veloci sul foglio. Il problema era fin dove volevo arrivare nel mettere a nudo la mia vita privata. Avevo sofferto troppo ed era arrivata l’ora di far parlare i miei sentimenti e liberarmi di un fardello molto pesante. Poi mi sono accorto che mentre scrivevo per me stesso potevo essere utile anche agli altri.

Come dice il titolo, succede “Tutto in una notte”: che cosa?
È stato come nascere a nuova vita. Ho aperto i cassetti della mia mente, migliorato la mia condizione, respirato aria nuova e fresca. Nella lunga notte descrivo il mio vissuto con la malattia e racconto ciò che mi è accaduto: le cure mediche ricevute, il rapporto con i miei famigliari e con il resto del mondo. Nel mio libro sono spesso evidenziati i miei stati d’animo; si aprono in maniera alternata delle finestre, i sogni che mi hanno dato la possibilità di viaggiare nel tempo, attingendo ai ricordi che hanno convissuto con la mia malattia .

Come giudica la sua esperienza di cura al Carlo Poma?
L’ospedale Carlo Poma è stato sempre un appoggio importante, anche se ritengo che molto dipende dai miglioramenti e dai risultati che si ottengono. Oltre ai farmaci e alle cure, sono stati fondamentali i medici e le infermiere che ho incontrato. Sono sempre le persone che si incrociano nella vita che, nel bene o nel male, fanno la differenza. Nel caso di una malattia l’atteggiamento di chi segue il malato è una componente importante dell’esito finale. Sono stato fortunato in quanto nel reparto di Dermatologia mi sono state prescritte cure all’avanguardia, sono stato messo a mio agio, sostenuto anche psicologicamente e non mi sono mai sentito “abbandonato a me stesso e alla mia malattia”.

Quanto è importante il confronto con le altre persone colpite dalla patologia?
Risulta vitale anche se tendenzialmente ognuno rimane chiuso nel proprio intimo. Perché dipende sempre dal grado in cui la malattia ha colpito la persona. Quando si sta molto male capita di non avere nemmeno voglia di condividere il proprio malessere. Uno degli scopi del mio romanzo è appunto arrivare alla gente che ha problemi simili al mio, risvegliare le persone, trovarsi, parlare senza remore del proprio vissuto con la patologia.

Da malato, quale consiglio si sentirebbe di dare a una persona colpita da questa malattia?
Mi rivolgo ai malati e a chiunque vive situazioni di fragilità, suggerendo senza alcun dubbio di ‘farsi aiutare’, perché da soli non è possibile venirne fuori. Il rischio che si inneschino altri fattori ancora più gravi – depressione, disagio e inadeguatezza – derivanti dalla malattia, è molto facile. La psoriasi rimane una malattia invalidante. Non si deve commettere l’errore di far prendere alla malattia il sopravvento sugli equilibri famigliari, sulle proprie esperienze, sulla propria creatività e sui progetti per il futuro.

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