Epatocarcinoma: si vince giocando in squadra

Dalla prevenzione al trapianto di fegato, un gruppo multidisciplinare al Poma segue i pazienti offrendo loro la migliore scelta terapeutica

di Maurizio Cantore
Direttore struttura Oncologia ASST Mantova

e Rita Cengarle
Medico struttura Oncologia ASST Mantova

 

L’occasione di mettere a fuoco i cambiamenti nella strategia di diagnosi e cura dell’epatocarcinoma è derivata dal congresso scientifico che si è svolto lo scorso ottobre a Mantova, organizzato dal gruppo multidisciplinare epatocarcinoma del Carlo Poma guidato dall’infettivologo Giorgio Perboni. La storia dell’epatocarcinoma sta profondamente cambiando sia per l’ormai antica e diffusa vaccinazione per l’epatite B, sia per la più recente introduzione delle nuove terapie anti epatite C: avremo meno epatocarcinomi da virus nell’immediato futuro grazie a queste strategie terapeutiche. Intanto dobbiamo però continuare a diagnosticare i nuovi epatocarcinomi, cercando di farlo nelle fasi più precoci possibili, e continuare a trattarli anche nelle fasi avanzate.

Dal 2004 è in attivo in azienda un gruppo dedicato, che si occupa della gestione multidisciplinare dell’epatocarcinoma dalla diagnosi alle varie fasi di terapia. Il gruppo ha prodotto un percorso diagnostico terapeutico che è attivo dal maggio di quest’anno e ha lo scopo di garantire sul territorio provinciale una offerta omogenea, strutturata e multidisciplinare per la diagnosi, la terapia e la gestione complessiva dei pazienti con epatocarcinoma. I casi trattati al Poma sono 20 all’anno, 60 ogni 3 anni. Il 70 per cento dei pazienti è stato sottoposto almeno una volta al trattamento.

In particolare, per il territorio, sono fondamentali: la diagnosi precoce, che ha dimostrato in diversi studi e anche nella nostra casistica, di modificare favorevolmente la sopravvivenza; l’identificazione dei soggetti a rischio che vanno inviati a prima visita epatologica per essere monitorati con ecografie addominali e dosaggi dell’alfafetoproteina ogni 6 mesi; la diagnosi al di fuori del monitoraggio, per la quale esiste l’indicazione a inviare il paziente a prima visita preferibilmente nella struttura di Malattie Infettive, al fine di gestire in primis una cirrosi quasi sempre sottostante e il futuro iter diagnostico condiviso col gruppo.

Per il trattamento il paziente viene valutato multidisciplinarmente, le opzioni sono varie e possono essere combinate tra loro: trattamenti locoregionali quali la resezione chirurgica, la radiologia interventistica (ablativi percutanei-chemioembolizzazione) e il trapianto, per il quale il paziente viene indirizzato presso centri specialistici; trattamenti sistemici con farmaci a bersaglio molecolare; trattamento dei sintomi laddove i trattamenti attivi non possono dare dei vantaggi.

La lezione magistrale tenuta dal professor Umberto Cillo, direttore del centro Trapianti di fegato dell’Università di Padova, ha completamente ridisegnato le opportunità sia della chirurgia resettiva radicale che, anche con tecniche in video-laparoscopia, va sempre più frequentemente ricercata perché presenta i migliori risultati sulla sopravvivenza. Parlando invece dei trapianti di fegato, lo specialista ha dimostrato, con dati basati sulle evidenza scientifiche più recenti, come in alcuni casi di malattia avanzata si possa optare per il trapianto. Di organi ne abbiamo sempre più bisogno anche perché le indicazioni di trapianto, tra l’altro alla luce della diminuzione degli epatocarcinomi, si stanno ampliando.

Da questa giornata scientifica, il gruppo mantovano esce ancora più motivato sia per il valore ad esso riconosciuto dallo stesso Cillo, sia dalla consapevolezza che la discussione multidisciplinare tra infettivologi, oncologi, radiologi, chirurghi, gastroenterologi e patologi, offre al paziente la migliore scelta terapeutica.

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