Mal di cuore, mal di anima: lo psicologo in Cardiologia

A Pieve di Coriano, la figura si affianca a quella del cardiologo per migliorare la qualità della vita

di Paolo Prozzo
Psicologo struttura Psicologia Clinica

Per assistere in modo completo il paziente cardiopatico, all’ospedale di Pieve di Coriano si è deciso di affiancare la figura dello psicologo a quella tradizionale del cardiologo. L’obiettivo è sostenere sia il paziente che i famigliari in un percorso volto a migliorare la qualità di vita. Nell’ambito della struttura complessa di Cardiologia del presidio, infatti, la pluriennale collaborazione dello psicologo con l’equipe specialistica del reparto e dell’Ambulatorio dello Scompenso, ha permesso lo scambio esperienziale tra specialisti e la possibilità  di monitorare e prendere anche in carico psicologico, quando necessario, pazienti cardiopatici portatori di pacemaker e defibrillatore, unitamente spesso ai famigliari, attraverso percorsi riabilitativi gruppali e individuali.

Da quali valutazioni nasce questa iniziativa? Il paziente cardiopatico, portatore di pacemaker o di defibrillatore è portato a confrontarsi in modo conscio, ma più spesso inconsapevole, con questo apparecchio ‘salvavita’, perché percepisce una alterazione del proprio schema corporeo. L’immagine di sé e l’equilibrio del vissuto del proprio schema corporeo poggiano sulla costruzione mentale che ogni soggetto opera sin dai primi anni di vita, grazie alle percezioni e alle relazioni tra il proprio mondo interno e il mondo esterno. L’equilibrio psicosomatico, che ogni individuo cerca di costruire e raggiungere nel corso dello sviluppo e della vita, viene spesso interrotto e alterato dalla malattia, le grande iconoclasta.

Le difese corporee e soprattutto psicologiche di fronte alla malattia, suscitano suggestioni anche drammatiche in relazione alle caratteristiche di personalità del soggetto, dei suoi meccanismi di difesa, dal vissuto di gravità della malattia stessa. Quando la soluzione della sofferenza e del disagio vengono risolti attraverso l’applicazione nel corpo del paziente di una protesi, scatta nella mente del paziente la necessità di accettare e confrontarsi con “il corpo estraneo”. I meccanismi psicologici di difesa verso la malattia ora si rivolgono a “quel qualcosa che non sono io, non mi appartiene ma che adesso è dentro di me”.

Nascono problemi di accettazione, rifiuto, aderenza e compliance allo strumento salvavita e anche al percorso riabilitativo. Questo succede per il pacemaker e il defibrillatore. Conoscere il vissuto psicologico del paziente e quello che succede nella sua mente, e anche in quella dei famigliari, può permettere al medico e all’equipe curante di prendere in carico il paziente nella sua totalità, anche nei risvolti emotivi. Significa inoltre prendersi cura del paziente aiutandolo a programmare e raggiungere una condizione di benessere e di miglioramento della qualità di vita da adesso in poi con il pacemaker o il defibrillatore.

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