La malattia è un’esperienza di grande sofferenza ma l’amore dei propri cari, insieme alle cure e alla presenza dei professionisti della sanità, rappresentano un sostegno e una fonte di speranza. Come si legge nel racconto pubblicato di seguito:
Ho conosciuto Cinzia 30 anni fa. Ero in sella al mio motorino: percorrevo la statale e lei in bicicletta veniva nel senso opposto. Quando l’ho vista, ho fatto inversione di marcia e mi sono fatto coraggio per ‘attaccare bottone’ . Eravamo due ragazzini. Da allora non ci siamo più lasciati. Nel 2000 è nato nostro figlio, dopo diversi tentativi ci siamo riusciti…una benedizione.
Nel 2004 la “cattiva notizia” e l’inizio del calvario: Milano, Verona, Mantova, Bologna…il trapianto nel 2009, la speranza…la quasi certezza della guarigione e poi ancora la malattia che torna e si fa strada in modo impietoso. Gliel’abbiamo tenuto nascosto, all’inizio…per non preoccuparla. Aveva già tanti altri pensieri: il figlio adolescente che andava a scuola e che non avrebbe potuto crescere secondo i suoi desideri per colpa della malattia; la malattia del padre; quella della madre, che nel frattempo è morta.
Gliel’ha comunicato il medico. Lei voleva sapere. Sì, è stato un bene che le sia stato detto, così avrebbe trovato stimoli, forza per lottare. E poi non potevamo più nasconderlo, lei stessa si rendeva conto che stava peggiorando. Per me sarebbe stato difficile dirle “sei ammalata ancora e questa volta è più brutta della prima”. Di cure palliative ci ha parlato un dottore a Verona. Eravamo approdati in Oncologia a Mantova. Ricordo anche le parole di un’operatrice socio sanitaria: “Andate nel reparto di Cure Palliative, lì sono bravi”. Io avevo l’esperienza di mio fratello, sapevo di potermi fidare.
All’arrivo in hospice abbiamo sentito l’accoglienza e la disponibilità del personale. Cinzia è stata ricoverata nella stessa stanza di mio fratello. Proprio lei che era venuta tante volte a fargli visita lì. Ma non è stato difficile. In hospice era migliorata, e poi potevo stare con lei tutto il tempo che volevo, pranzare con lei, far venire mio figlio: eravamo ‘ospitati’. E così ci siamo preparati per andare a casa.
Dopo le dimissioni, organizzavamo le nostre passeggiate al lago, in città, abbiamo fatto molte cose insieme. E poi ci sentivamo al sicuro, perché la presenza delle infermiere e della dottoressa erano costanti. Cinzia aspettava ogni giorno la loro telefonata. Poi l’hanno chiamata da Bologna: dopo un primo periodo di relativo benessere, una polmonite aveva preso il sopravvento…
Le sono rimasto accanto ogni giorno. Gli ultimi due li ha trascorsi in Rianimazione. È stata una buona morte? Penso di sì. Era sedata, era tranquilla. Quando se n’è andata aveva il sorriso sulla bocca…credo che abbia pensato: “Adesso non sento più niente”. Poi si è lasciata andare…Come mi sono sentito? Io speravo sempre…anche suo figlio sperava…lui più di tutti. Ha sofferto molto, anche se non gli avevamo nascosto niente. Non parlava…poi l’ho preso nel letto con me, eravamo solo noi due.
Oggi, quando entro in casa sento forte la sua mancanza. Convivo con questa percezione. Non sto male…lei entra nei miei ricordi, ne fa parte, è parte di me.
Vorrei condividere la lettera che Cinzia ci ha lasciato con le sue volontà:
(…) A conoscenza della mia situazione di salute, in caso di decesso desidero essere portata a casa e che i miei funerali si svolgano nella chiesa di (…) per poi proseguire per la cremazione. Lascio che siano i miei cari a scegliere dove fare riposare in pace le mie ceneri. Non voglio che il mio funerale sia triste, nonostante gli anni di sofferenza passati, con la morte troverò la pace eterna. Vorrei che il rito funebre iniziasse con la canzone di Cesare Cremonini “Buon viaggio”. Amavo la vita e la mia famiglia. (…) Un ringraziamento alle Cure Palliative a all’Oncologia di Mantova. Voglio che nel mio necrologio si legga: “Ciao guerriera, dopo lunghissimi anni di sofferenza ci hai lasciato”.
Paolo