Furono soppresse le varie istituzioni religiose e le confraternite laiche ad esse collegate e furono istituite le Congregazioni di Carità, organismi a forte indirizzo amministrativo
In questo e nei prossimi numeri della rubrica ‘Come eravamo’, racconteremo la storia della sanità del Destra Secchia, pubblicando testi tratti dal libro ‘Antichi ospedali nel Destra Secchia dell’Oltrepò mantovano’, di Raffaele Ghirardi (2018, Publipaolini editore), cultore di storia e responsabile delle Attività di cure sub acute dell’ospedale di Borgo Mantovano. Il passato ci aiuta a capire il presente e a costruire il futuro. Continua di seguito la storia dell’ospedale di Ostiglia, dopo le puntate pubblicate sui numeri precedenti del magazine.
Il vescovo Marco Giustiniani, durante il suo soggiorno ostigliese nel 1635, così descriveva la situazione di Ostiglia dopo il passaggio della peste e delle truppe imperiali: “La vecchia chiesa di San Lorenzo, come altri edifici del paese, è in rovina, perduto il buon ordine e il governo delle confraternite e dei luoghi pii…il monte di pietà e l’ospedale dei Santi Pietro ed Antonio abbruggiati”.
Lasciti e donazioni ad opera di benefattori costituivano le risorse necessarie affinché l’ospedale potesse espletare la sua funzione caritatevole. Fra questi si ricorda Pietro Paolo Turola che, nel suo testamento del 1797 non mancò “[…] di beneficare questo stabilimento, mutuando al sei per cento, a favore de’ poveri d’Ostiglia e de’ Coreggioli, un capitale di lire dodici mila mantovane, e prescrivendo che il frutto di esse avesse ad essere dai Rettori dello Spedale medesimo in pro de’ poveri che dicemmo amministrato. L’annua rendita di questo Spedale è quindi in giornata di circa lire seimila provinciali, e in esso, di fresco stato ristorato ed anche abbellito, possono essere ricoverati e convenientemente trattati da dieci a dodici ammalati”.
In un documento senza data, probabilmente da riferirsi ai primi anni del ‘700, si descrive l’assetto amministrativo e finanziario dell’ospedale dei Santi Antonio Abate e Pietro di Ostiglia e vi si osserva che “[…] in esso, oltre agli infermi e pellegrini, si accettano anche bambini di poveri genitori e di vedove miserabili”. Nel 1781 Pietro Moscati, uomo di fiducia di Maria Teresa e di Giuseppe II, nominato assessore del Direttorio medico-chirurgo, istituito a Milano nel 1774, compì una ispezione degli ospedali di Mantova e del mantovano e così descrive quello di Ostiglia: “Questo piccolo Spedale, di fondazione a me non conosciuta, perché non mi è stato dato alcun documento di essa, porta il titolo di S.Pietro e Antonio abate; egli è presentemente governato dall’Arciprete del Borgo, dal Podestà e dai Reggenti pro-tempore della Comunità, i quali fanno i mandati per iscritto per ricevere gli ammalati al Custode dello Spedale. Il fabbricato rustico ha un piano terreno molto mal costruito ed insalubre, dove vi è luogo per tre letti, oltre l’abitazione del custode, ed un piano superiore più abitabile e comodo dove possono starvi quattro o, al più, cinque letti. Ricevonsi ammalati fino al numero di sette o, al più, otto. Quando io lo visitai non v’era che un solo ammalato. Sono per legge esclusi i cronici, i gallici e le puerpere. Sono ammessi gli ammalati di febbri e mali chirurgici. Vi sono, inoltre, dei legati di pane in certi tempi dell’anno, di lenzuola e di doti a figlie nubili. L’annua entrata è stata detta essere intorno alle cento doppie. Vi è salariato un medico con lire 300 di Mantova ed un chirurgo con simili lire 120 l’anno, e questi stipendi sono distribuiti un anno ai medici e chirurghi del paese, obbligati in tal tempo per turno al servizio degli ammalati. Così pure li due speziali del paese alternano un anno per uno il farmaceutico servizio dello Spedale. Vi è inoltre, alloggiato nel Pio Luogo, un custode il quale ha lire 50 al mese ed è, oltre l’assistenza agli ammalati, quando ve ne sono, obbligato a cucinare il loro vitto, del quale gli viene il prezzo corrisposto dai Superiori sopraddetti.
La piccolezza di questa Pia Fondazione, l’essere essa, appunto perché piccola, mal fabbricata e senza credito; spesso affatto vuota. La facilità che vi è di impiegare malamente le entrate come in tutte le piccole Fondazioni Pie, non abbastanza pubbliche per la loro tenuità, mi parrebbero ragioni o per sopprimere questo Spedale aggregandolo a qualche altro vicino, o aggregare ad esso delle altre simili fondazioni, facendone uno abbastanza numeroso, e cognito ai poveri, per essere regolarmente ad essi di utile sussidio, siccome dirò in fine di questa relazione”.
All’inizio del XIX secolo, con il dominio di Napoleone, tramite gli stati bonapartisti italiani, si realizzò una profonda riforma delle opere di misericordia laiche e cristiane. Furono soppresse le varie istituzioni religiose e le confraternite laiche ad esse collegate e furono istituite le Congregazioni di Carità, organismi a forte indirizzo amministrativo, retti da cittadini legati alla realtà civica comunale il cui compito era quello di amministrare i beni provenienti dalle istituzioni abolite e incaricate dell’assistenza dei malati e dei bisognosi.
Al tempo della Repubblica Cisalpina a Ostiglia furono abolite le sette confraternite esistenti dal XVI secolo e subentrava la Congregazione di Carità retta da un amministratore, segretario e cassiere per la gestione del Pio Istituto Elemosiniero il cui fine era quello dell’aiuto al domicilio delle famiglie più indigenti e di assistere con una piccola dote le fanciulle in età di matrimonio. La gestione dell’ospedale risultava autonoma ed era costituita da un amministratore, segretario e cassiere.
L’assistenza medica era garantita gratuitamente dal medico condotto e, con circolare del 28 marzo 1801 della Repubblica Cisalpina, venivano esclusi dal nosocomio “[…] i tisici, gli apoplettici, gli etici, gli idropici, i scorbutici, i lebrosi, gl’infermi di piaghe incurabili, i tignosi”. Il ricovero era riservato esclusivamente ai residenti di cui era accertata la miserabilità. Veniva accettato anche un numero limitato di paganti, del luogo o di altri comuni; tali ricoveri comunque non dovevano pregiudicare quelli dei malati bisognosi della comunità ostigliese. Occorrerà forse ricordare che in quei tempi l’assistenza ai malati, abbienti o meno, era svolta al domicilio.
di Raffaele Ghirardi, responsabile Attività di cure sub acute Borgo Mantovano
Nella foto in homepage l’Ospedale Civile di Ostiglia, 1844