Figlicidio, maggiore sostegno e misure preventive per le neomamme

Studio delle Rems su 55 donne autrici di reato, l’isolamento sociale e culturale aumenta il rischio

Simone Giacco

È stato recentemente pubblicato sulla rivista Archives of Women’s Mental Health uno studio condotto dalle Rems (Residenze per l’esecuzione delle Misure di Sicurezza) di Castiglione delle Stiviere in collaborazione con il Servizio Biostatistico dell’ASST di Mantova. L’articolo tratta una ricerca retrospettiva sulle madri autrici di figlicidio (omicidio del figlio) ospitate negli ultimi trent’anni nelle Rems Castiglionesi e nell’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario.

Lo studio nasce dall’osservazione di figlicide, che precedentemente al reato, hanno avuto un differente accesso ai servizi di salute mentale. Alcune erano già note alla realtà della psichiatria, altre risultavano sconosciute e sono entrate in contatto con questi servizi solo in seguito all’omicidio commesso. In entrambi i casi veniva rilevato un disturbo mentale al momento del reato che ne determinava una condizione di incapacità di intendere e di volere. L’obiettivo è stato quello di analizzare le differenze tra questi due gruppi di pazienti al fine di poter contribuire alla conoscenza del fenomeno del figlicidio e alla sua prevenzione.

La ricerca, effettuata su 55 pazienti, ha evidenziato che le figlicide precedentemente sconosciute ai servizi di salute mentale costituiscono quasi la metà delle autrici di questo reato. Sono donne che vivevano una condizione di isolamento sociale tale da non essere in grado di sostenere la sopraggiunta condizione di maternità. Sono prevalentemente residenti in Italia da breve tempo e prima del reato non effettuavano alcun trattamento. Queste caratteristiche possono aver contribuito all’insorgenza di una particolare condizione stressante che ha favorito un episodio psicotico, solitamente riscontrabile nel primo anno di vita del bambino.

Per quanto riguarda invece le madri con precedente accesso ai Servizi di salute mentale, queste sono prevalentemente di origine italiana e stavano effettuavano un trattamento farmacologico. Caratteristiche che ne permettevano una gestione della malattia mentale nei primi anni di maternità. Successivamente con la crescita del figlio, i pensieri e le emozioni di queste madri legati a propri traumi infantili non elaborati possono essersi intensificati, conducendo a manifestazioni psicopatologiche acute divenute il movente principale per l’esecuzione dell’omicidio.

Concludendo, le misure preventive dovrebbero garantire un maggiore sostegno alle neomamme, soprattutto per quelle socialmente o culturalmente isolate. I mass media dovrebbero essere utilizzati per fornire informazioni sui servizi disponibili, tenendo conto delle diversità culturali. Qualsiasi paziente che durante il periodo perinatale accede ai Servizi di salute mentale dovrebbe essere monitorata sulla presenza di traumi. Poiché il rischio di figlicidio si estende oltre i primi anni di vita di un bambino è necessaria una formazione per tutti i professionisti che lavorano con madri di bambini in questa fascia di età.

Rispetto al trattamento effettuato nella nostra struttura quasi tutte le figlicide raggiungono la consapevolezza di come l’omicidio sia stato collegato alla loro condizione mentale. Questa cognizione porta a una maggiore collaborazione nel percorso terapeutico-riabilitativo, riducendo il rischio di recidiva. La maggior parte delle figlicide ottiene una misura alternativa alla detenzione entro 5 anni dall’inizio della cura.

 

Hanno collaborato alla ricerca Alessia Cicolini, direttore della struttura Psichiatria Giudiziaria – REMS di ASST Mantova e Ilaria Tarter, psicoterapeuta del Sistema polimodulare di REMS provvisorie di Castiglione delle Stiviere.

Alessia Cicolini
Ilaria Tarter

 

 

 

 

 

Di Simone Giacco, psicologo
Sistema polimodulare di REMS provvisorie, Castiglione delle Stiviere

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