L’armamentario chirurgico del XVIII all’Accademia Nazionale Virgiliana

Bisturi, pinze, forcipi: 209 pezzi utilizzati fino al 1779 per gli interventi chirurgici dimostrativi e le lezioni di anatomia della facoltà di Medicina e Chirurgia

Chi percorre la loggia afferente alla Sala Ovale, posta al primo piano dello stabile che ospita l’Accademia Nazionale Virgiliana di Scienze Lettere ed Arti di Mantova, può osservare, sul lato destro, quattro teche costruite su disegno dell’architetto Dino Nicolini nei primi anni ’80 del secolo scorso. Esse consentono la visione, fissati a 12 cartoni, di 209 strumenti chirurgici del secolo XVIII che è quanto rimane del ricco “istromentario” anatomico e chirurgico acquistato per uso della Colonia medico-chirurgica, annessa alla Reale Accademia di Scienze Lettere ed Arti, cui l’Imperial Regio Governo aveva concesso, a partire dal 1773 e fino al 1779, la facoltà di tenere lezioni e di concedere lauree in Medicina e Chirurgia. Dopo tale periodo, in base al nuovo orientamento politico asburgico, si decise che la formazione professionale fosse sottratta ai Gesuiti e ai Collegi affidandola ad organi statali quale l’Università di Pavia.

Fino al 1779, quindi, si eseguirono lezioni di anatomia e interventi chirurgici dimostrativi, ovviamente su cadaveri, quali “operazione della fistola lacrimale”, “operazione di sarcocele”, “litotomia”, “quella dell’aneurisma del braccio” e tante altre. È utile ricordare che a dare il maggior contributo al progresso della chirurgia settecentesca furono gli anatomisti, considerati i migliori utilizzatori delle proprie conoscenze ai fini della pratica chirurgica. A Mantova, ad esempio, il chirurgo      e ostetrico Giambattista Concordi, durante gli anni accademici 1773 e 1775, eseguì sia interventi chirurgici che preparazioni anatomiche presso la Reale Accademia.

Nelle teche sono esposti oltre a bisturi, uncini, aghi, forcipi e tenaglie. Anche, fissati sul cartone 10, due “soffietti semplici per gli asfittici, con…pipe da tabacco, e tubi elastici ed imbuti…”. È quanto rimane dei mantici che i campanari di sei chiese mantovane, vicine ai laghi, dovevano custodire al fine di soccorrere gli annegati cioè “…per inspirare gagliardamente l’aria nei polmoni”. I soffietti, inoltre, collegati alle suddette pipe, potevano servire per praticare clisteri di fumo di tabacco nei casi di morte apparente. La pianta del tabacco, infatti, si credeva avesse proprietà terapeutiche tant’è che acquistò fama di panacea.

Un articolo della Gazzetta di Mantova del 23 giugno 1775 dedicato alla “Inaugurazione della Fabbrica della R. Accademia”, cioè del Palazzo Accademico da poco terminato, poneva in risalto il patrimonio didattico esposto nel piccolo Teatro Anatomico: “Preparazioni secche de’ nervi, delle vene e arterie,… una tavola piena di feti e di mostri conservati nello spirito di vino e di macchine per uso della chirurgia e dell’obstetricia; e negli angoli stavano aperti due grandi armadj con moltissimi istromenti anatomici e chirurgici…de’ quali molti lavorati in Mantova colla maggior perfezione”.

Il numero esatto degli strumenti della collezione mantovana del secolo XVIII non è noto: nel  1852 ne furono inventariati 367 e si rilevò che ne mancava un certo numero. Un secondo inventario è quello eseguito nel 1863 dal custode del Palazzo Accademico Lorenzo Lorenzi che lo intitolò “Prospetto sistematico degli istrumenti chirurgici di proprietà dell’Accademia”. I 51 strumenti che l’Accademia inviò a Firenze in occasione della prima esposizione nazionale di storia della scienza (maggio-ottobre 1929) erano contrassegnati con i numeri del catalogo compilato dal Lorenzi.

Parte dello strumentario era stato acquistato fuori di Mantova, presumibilmente a Parigi e ad Augusta, parte era stato fabbricato da Artigiani locali membri, alcuni, della Colonia di Arti e Mestieri.  Nel 1775 furono premiati, per gli strumenti da loro fabbricati, artigiani quali l’Argentiere Giuseppe Botturi “per un assortimento di nove siringhe, alcune delle quali flessibili…” (al cartone 5 sono fissati strumenti di questo tipo), lo Stagnaro Giuseppe Lanti “per 6 sifoni con 16 tuboli diversi”, il Coltellaio Giovanni Fioroni “per vari strumenti fatti con gran maestria”. La stessa maestria con la quale la Ditta Afro Piccinini ha riportato alle condizioni attuali i 209 “bruni e opachi” strumenti addocchiati nel 1960 nella soffitta della Accademia Virgiliana dal primario ostetrico professor Francesco Maccabruni; l’idea del Maccabruni di riordinare ed esporre lo strumentario si poté realizzare vent’anni dopo grazie all’impegno del professor Eros Benedini, presidente a quel tempo dell’Accademia ed insigne chirurgo, nonché al contributo dell’Assessorato alla Cultura della Regione Lombardia. A ricordo dell’iniziativa, nel 1983, grazie alle ricerche archivistiche di Gilberto Carra e al testo curato da Attilio Zanca, si diede alle stampe il catalogo “Armamentario chirurgico del XVIII secolo”, da cui sono state tratte le notizie riportate in queste righe.

Di Andrea Zanca, dermatologo e membro Accademia Nazionale Virgiliana




 

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