La poesia che crea e trasforma: “Non solo cura. Respiro, senso dell’esistenza”

Giovanni Nolfe, psichiatra e psicoterapeuta, poeta e giurato del premio Virgilio, sezione dedicata agli ospiti di strutture protette: “In quei versi, la possibilità di evadere, di oltrepassare i confini”

Giovanni Nolfe

Quale potrebbe essere il metodo più autentico della poesia, se ne esiste uno? Con quale materia ha a che fare: con l’argilla, attraverso l’arte di aggiungere e sovrapporre, oppure con il marmo, che implica inevitabilmente un lavoro di sottrazione, di smussamento, di perdita? Io non conosco una risposta, tutt’al più avvertirei una personale inclinazione alla scultura”. È il commento di Giovanni Nolfe, psichiatra e poeta, ai componimenti di uno dei vincitori del premio Terra di Virgilio. Nella sezione dedicata agli ospiti di strutture protette, L’ozio degli attivi, di cui il medico è giurato.

La poesia che scolpisce. Trasfigura. Crea. Lui conosce bene questi e altri poteri del verso. Sente la parola poetica che arriva, la vede depositarsi sul foglio bianco. La osserva spesso incamminarsi, partendo dalla storia di vita, da un dolore. Da un’emozione di qualcuno dei pazienti che segue da psicoterapeuta, responsabile del centro di riferimento per le psicopatologie del lavoro di Regione Campania, a Napoli.

L’ambulatorio del professionista diventa culla per l’ispirazione, che ama seguire sentieri tortuosi e portare chissà dove. Magari a farti giardiniere per una pianta che non sa più fiorire, per quella donna che non si sente “adatta a questo mondo” e vorrebbe lanciarsi nel vuoto. La signora fragile, che Nolfe prende per mano nella sua lirica Poesia per un’eterna incertezza, dalla raccolta Titolo provvisorio: “Così ho proceduto/con la mia cura precisa,/cambiando, nel piccolo vaso,/la vecchia terra intorno,/e di ogni radice/tagliai la parte morta e,/fingendo di saperla lunga,/potai i suoi rami in forma obliqua,/e usai un nutrimento,/ed ebbi con me/ i miei cani da pastore”.

Però lei, prigioniera che vorrebbe volarsene via dalle sue ossessioni, non sa di saperla più lunga di tutti. Di chi sta con chi crede di essere sano, di chi insinua che salvare i matti sia in fondo una causa persa. Il dottore riconosce questa grandezza e la grida al mondo: “Ma davvero avete voi/tanta forza in petto,/davvero il vostro sogno/si arrampica/tanto in alto, a gambe incrociate,/lungo la pertica scivolosa,/davvero così forte palpita/d’azzurro/nei vostri cuori il sangue/o scintilla/per poche ore soltanto/la vostra luce?”.

Eccolo, il legame a doppio filo fra poesia e cura: “Un rapporto che va oltre l’espressività di chi scrive, ha a che fare con la natura stessa dell’atto terapeutico. Scrivendo si ridefinisce la propria dimensione interiore, si trasformano i disagi. Esiste poi un secondo livello trasformativo, perché il medico compie un’operazione molto simile a quella della scrittura. Traducendo pensieri, paure, ansie, gioie in metafore. In generale, il cuore del nostro lavoro”.

Nolfe invita volentieri i malati a mettere nero su bianco la propria interiorità. Un gesto che genera e rigenera: “Un modo doloroso di rielaborare i vissuti, ma anche uno strumento per costruire una consapevolezza e una via d’uscita”. La poesia che fa, come ricorda l’origine greca del termine: poiéin, fare. Fabbrica un nuovo mondo, fosse anche popolato di soli sogni, che permettono a chi sembra non avere più orizzonti di trovarne ancora uno. Scava più a fondo nei sentimenti. Rinforza la relazione fra chi si china sulla malattia, provando a guarire, e chi spera di essere guarito.

E ancora: mette le ali. Consentendo di evadere “senza lima”, valicare i limiti delle sbarre di un carcere o del letto di una struttura protetta. I luoghi del confinamento, dai quali si alzano le voci del concorso mantovano che lo psichiatra ha imparato ad ascoltare e scandagliare: “Ho letto sofferenza, nostalgia. Desiderio di riprendere contatto con la moglie, il figlio, gli amici, la strada che si percorreva abitualmente. Con la capacità di immaginarsi ancora uniti a questi affetti lasciati fuori, proprio grazie al racconto di ciò che è stato e si vorrebbe poter riabbracciare. Inoltre, là dentro germogliano talenti, a volte scoperti e coltivati attraverso laboratori poetici, in primis quello di Opera”.

Infine, una confessione commovente. L’ammissione del potere dei poteri che la poesia detiene. Per chi legge, per chi scrive. Per chi si abbandona alle sue tracce misteriose e liberatorie: “In certi momenti è respiro. Dà senso all’esistenza”.

 

POESIA PER UNA ETERNA INCERTEZZA
(a Francesco Blasi e Antonio Mancini) 

Non sono adatta a questo mondo
mi disse-
troppo brutale la sua pioggia,
e troppo tempo che resta.
Non sono adatta a questo mondo
disse ancora-
sognando di lanciarsi
giù nel vuoto
o, più semplicemente,
rigirandosi nel sonno.
Così ho proceduto
con la mia cura precisa,
cambiando, nel piccolo vaso,
la vecchia terra intorno,
e di ogni radice
tagliai la parte morta e,
fingendo di saperla lunga,
potai i suoi rami
in forma obliqua,
e usai un nutrimento,
ed ebbi con me
i miei cani da pastore.
Poi qualcuno entrò,
e con la voce grossa

non fare così,
non sbagliare ancora
smetti quei guanti da lavoro
mi dissero-
lascia andare le radici
anche marce
e non tagliare
quei suoi rami secchi
non conta, non conta;
ma cambia tutto il mondo
che le hai visto intorno.
Se temi
che stia sola in casa
fa’ che nessuna porta
sia chiusa
alle sue spalle,
e se non bastasse
fanne sventolare i tetti
esultanti
come cappelli allo stadio.
E rivolta il suo cielo,
come un calzino nero.

Ma davvero avete voi
tanta forza in petto,
davvero il vostro sogno
si arrampica
tanto in alto, a gambe incrociate,
lungo la pertica scivolosa,
davvero così forte palpita
d’azzurro
nei vostri cuori il sangue
o scintilla
per poche ore soltanto
la vostra luce?

(Giovanni Nolfe, Titolo provvisorio, Gattomerlino editore)

CAPGRAS

Il mio primo sogno non fu più risvegliato.
Vivo nelle due camere appiccicose, vecchia
nemmeno  cinquantenne, dicono mi logori
il desueto morbo di Capgras. E che non si scherza!
In due parole sono già vecchia in una vecchia malattia
nella casa giallastra d’un antico palazzo.

Nei tuoi occhi sporgenti riconosco l’inganno,
il tuo doppio mi affligge e soffro
quando la mano che sfiora il gatto
scopre solo il mio perduto amore
che s’inarca sul dorso. Non ho avuto fortuna.
Fui soltanto la sposa del padre immaginario.

In questa strada di tufo, a sant’Anna di Palazzo,
non posso fidarmi che a tratti di me stessa
quando allo specchio tocco il mio riflesso
che mi sorride e che mi osserva
forse senza mentire. Solo a quel punto riposo
in pace e stanca all’ombra di qualcosa.

(Giovanni Nolfe, Io, o forse un altro, LietoColle)

Elena Miglioli è il direttore del periodico Mantova Salute, responsabile dell’Area Ufficio Stampa e Comunicazione di ASST Mantova. Giornalista professionista, scrittrice, poetessa. Ama tutte le forme d’arte, ma mette la musica (classica) al primo posto.

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