Detta anche sindrome di Atlante, colpisce prevalentemente le donne (9 su 10) ed è una sindrome cronica che richiese una risposta non solo farmacologica
La fibromialgia, detta anche sindrome di Atlante, è una sindrome dolorosa extra-articolare non infiammatoria, caratterizzata da dolore cronico diffuso con sintomi di accompagnamento. Oltre al dolore muscoloscheletrico sono infatti spesso presenti: rigidità, allodinia, iperalgesia, astenia e affaticamento, disfunzioni cognitive, disturbi del sonno, alterazione dell’umore (ansia, depressione) e disturbi ad altri organi ed apparati (ad esempio gastrointestinali e urinari).
Si tratta di un disordine del dolore, amplificato e mantenuto a livello del Sistema Nervoso Centrale (vi è infatti evidenza di alterata processazione del sintomo dolore nel midollo spinale e nell’encefalo). Può essere innescata o peggiorata da vari fattori di stress. Le persone più vulnerabili sembrano essere i soggetti con scolarità minore, con meno risorse sociali e le donne.
La fibromialgia si manifesta e viene diagnosticata più spesso all’età di 40-60 anni e interessa soprattutto il sesso femminile (9 su 10 malati sono donne), con una prevalenza molto variabile secondo gli studi e che si può approssimare al 2-4 per cento della popolazione generale. Le persone con fibromialgia rappresentano il 5-7 per cento dei pazienti che frequentano gli ambulatori dei medici di medicina generale e almeno il 10-20 per cento di quelle che vengono riferite agli ambulatori reumatologici.
In provincia di Mantova si può approssimare molto indicativamente una prevalenza di circa 20.000 persone, con picchi che hanno raggiunto anche il 25 per cento dei pazienti in carico alla Reumatologia della ASST, in corso di pandemia, anche perché tale patologia può spesso associarsi ad altre malattie reumatiche. La malattia ha un elevatissimo impatto economico.
Il paziente effettua numerosi accessi ambulatoriali e ospedalieri e viene visitato da molti specialisti diversi, che tendono a focalizzarsi sul singolo sintomo di pertinenza. A causa del minor numero di uomini cui viene diagnosticata la malattia, gli studi clinici hanno finora riguardato quasi esclusivamente le donne. Nonostante l’incidenza sulla popolazione generale sia rilevante, ci sono elementi che possono rendere difficile la diagnosi: assenza di specifici marker diagnostici; sintomi non specifici; il dolore cronico diffuso è il sintomo predominante, ma le caratteristiche del dolore possono essere multiformi; un’estrema variabilità di elementi scatenanti o cause psicofisiche possono correlarsi ai vari sintomi ed esacerbarli. Spesso pertanto il percorso che porta alla diagnosi risulta tortuoso per il malato.
Frequentemente a partire dai 20 anni di età si possono manifestare: cefalea, dismenorrea e colon irritabile e con il passare del tempo si possono aggiungere affaticamento cronico, algie cervicali e lombari. Solo dopo anni da questi primi sintomi viene diagnosticata la sindrome. Attualmente, la diagnosi di fibromialgia si basa esclusivamente su una valutazione clinica completa, secondo i criteri ACR del 1990 (rivisti nel 2016). La diagnosi avviene in presenza di dolore generalizzato in almeno 4 delle 5 regioni corporee, sintomi costantemente presenti e con lo stesso livello di intensità per almeno 3 mesi, core elevato in specifici questionari e scale (WPI e SSS).
Per ciò che attiene il trattamento è necessario: prevedere una decisione condivisa medico-paziente, considerare la gradualità degli interventi, rendere sartoriale il percorso, ovvero costruirlo “su misura” sul singolo paziente, tener conto dell’intensità del dolore, valutare la compromissione delle funzioni e come esse invalidano il normale svolgimento delle attività quotidiane, prendere in esame gli elementi associati (stenia, funzione, disturbi del sonno, disturbi del tono dell’umore, disturbi cognitivi, disturbi gastrointestinali e altre comorbilità).
La fibromialgia influenza molto la qualità della vita ed è una condizione molto complessa ed eterogenea. Secondo le Raccomandazioni EULAR 2017, la terapia dovrebbe essere multidisciplinare. Tra le terapie non farmacologiche l’esercizio fisico è l’intervento più efficace sul dolore.La prevenzione è poi fondamentale per identificare i fattori di rischio che possono slatentizzare o peggiorare la malattia se già diagnosticata. È utile identificare i pazienti all’esordio di malattia e adottare da subito un trattamento multimodale, con le relative modifiche dello stile di vita. A tutt’oggi non esiste una singola terapia o una terapia univoca completamente efficace per ridurre il dolore fibromialgico e la prevalenza di questa sindrome.
L’approccio terapeutico, integrato e multidisciplinare, è essenzialmente basato su educazione e forma fisica, terapia farmacologica, terapia non farmacologica, psicoterapia. Uno degli aspetti più importanti riguarda l’educazione del paziente, che deve conoscere la propria malattia e imparare ad autogestirla. Fondamentale l’intensificazione della rete territoriale di supporto attraverso la collaborazione più stretta con la realtà delle associazioni di volontariato, medici di medicina generale e percorsi extra-ospedalieri e territoriali.
Di Marilena Frigato, Francesca Bartoli, reumatologi ASST Mantova