Maria Giulia Marini, esperta di medicina narrativa e medical humanities, autrice di un libro che analizza centinaia di racconti dalla pandemia: “Dalla metafora del mostro a quella del nemico. Ora ci serve la metafora del viaggio”
Scrittura, teatro, cinema, pittura, musica. Le varie forme espressive sono considerate preziose alleate della medicina basata sull’evidenza. Lo dimostrano le neuroscienze. L’epidemiologa Maria Giulia Marini, direttore scientifico e dell’innovazione Area Sanità e Salute di Istud (Centro di ricerca e formazione manageriale), esperta di medicina narrativa e medical humanities, racconta questa verità in un libro curato insieme al collega Jonathan McFarland: ‘Health humanities for quality of care in times of covid-19’. Il volume riporta le testimonianze di medici ed esperti di diversi Paesi europei. In Canada si prescrive l’arte terapia con tanto di ricetta. Negli Stati Uniti i nomi delle vittime fioriscono sui muri della memoria. Per non dimenticare e superare il lutto. Come spiega Maria Giulia Marini.
Nel suo libro analizza numerose narrazioni raccolte fra il 2020 e il 2021 da operatori sanitari, studenti, cittadini. Cosa ci dicono?
Troviamo tre tipi di narrazione, infarcite di metafore: ‘del caos’, ‘di restituzione’, ‘di ricerca’. Le prime parlano della confusione iniziale. Dell’angoscia, della paura di non trovare una soluzione, della mancanza di punti di riferimento, anche a causa delle informazioni fuorvianti diffuse dai media. Le narrazioni di restituzione vengono invece dai giovani e dai professionisti sanitari che volevano fosse loro restituita una vita ‘normale’. I giovani provavano rabbia, senso di perdita e isolamento. Gli operatori desideravano affrancarsi da un incubo. Poi c’è l’attitudine della ricerca, atteggiamento che molti cittadini hanno assunto. Chiedendosi cosa hanno imparato da questa esperienza, documentandosi, riflettendo sul futuro del pianeta. Ma anche ricerca delle proprie risorse interiori. I professionisti sanitari hanno riscoperto l’importanza della collaborazione con i colleghi, si sono permessi di esprimere emozioni molto forti, hanno confortato e sostenuto i malati, sostituendo anche i familiari, quando ce n’è stato bisogno.
Tante metafore, quindi, in questi scritti. Quali sono le più ricorrenti?
In prima battuta il Covid è stato descritto spesso come un mostro. Qualcosa che arriva dal buio, che solo un eroe può combattere. Poi, quando si stavano effettuando i test sui vaccini, si è passati all’immagine del nemico. Il medico è diventato un guerriero in grado di affrontarlo, grazie alla nuova arma. All’edizione 2020 del master di medicina narrativa Istud molti professionisti erano inizialmente congelati, non riuscivano a raccontarsi. Altri invece hanno subito scritto, tenendo magari un diario, talvolta stimolati da una poesia, da una fotografia. In moltissimi si sono proposti di lavorare a un project work per aiutare i colleghi nell’elaborazione del trauma, perché il burn out era molto presente. Diversi medici e infermieri mi hanno confessato di sentirsi “invecchiati di dieci anni in soli due anni”.
Esiste una metafora anche per invertire la rotta?
Propongo quella del viaggio. Perché la guerra non può durare per sempre, le energie si esauriscono. Oggi è possibile vedere anche i lasciti della pandemia, oltre alle ferite. Lo spirito di cooperazione a tutti i livelli, una maggiore consapevolezza. Dobbiamo inoltre salvaguardare la pubblica amministrazione e prenderci cura dei nostri professionisti scongiurandone la fuga al privato o all’estero. Fornendo loro più strumenti d’aiuto, riconoscendo il valore e l’impegno che dimostrano.
Cosa dobbiamo alle health humanities?
Anzitutto l’humanitas: sapere entrare in relazione con il prossimo. Una filosofia relazionale di intersoggettività. Quando ci si sente accolti e ascoltati attraverso un dialogo costruttivo, da un punto di vista neuroscientifico viene attivata nel cervello l’area corticale più evoluta, che stimola la resilienza e la progettualità. Poi l’essere umano ha un bisogno istintivo di esprimersi. Ha un mondo fantastico interiore a cui può ricorrere per fare fronte alle difficoltà. Leggere, scrivere, dipingere, distrarsi dal problema per poterlo superare: ecco uno dei tesori segreti, a cui purtroppo non attingiamo. Perché pensiamo l’espressività non serva nella nostra professionalità e a star bene. Così così rischiamo di inaridirci. E poi consiglio di riprendersi la storia in mano: guerre e pandemie, siccità e glaciazioni ci sono sempre stati. La neuroevoluzione è particolarmente utile, perché consente di relativizzare tutto. Ora dobbiamo anche prenderci cura del pianeta, che stiamo mettendo a dura prova: un viaggio di responsabilità. Anche perché l’arte molto spesso altro non è che riproduzione della natura. Di boschi, marine, sorgenti: sappiamo quanta serenità ci regalano.
Elena Miglioli è il direttore del periodico Mantova Salute, responsabile dell’Area Ufficio Stampa e Comunicazione di ASST Mantova. Giornalista professionista, scrittrice, poetessa. Ama tutte le forme d’arte, ma mette la musica (classica) al primo posto.