Il governo asburgico incaricò il direttore della facoltà Fisica mantovana di effettuare un esperimento di vaiolizzazioni su ’diciotto fanciulli orfani de’ più sani e ben disposti nel corpo’
Percorrendo il viale attraversando il quale si accede alla sede dell’Organizzazione Mondiale della Sanità si incontra un gruppo scultoreo che celebra l’estinzione, o meglio l’eradicazione del vaiolo, decretata dalla World Health Organization nel 1980, conseguita dopo un’incessante campagna internazionale di vaccinazione. L’ultimo caso di vaiolo segnalato risale al 1977 in Somalia.
Il vaiolo, introdotto in Occidente probabilmente nel primo secolo d.C., ancora nel XVIII secolo era la causa principale di morte in molte città europee. Chi sopravviveva restava cieco o storpio o con il viso deturpato da cicatrici. Il medico mantovano Pietro Tonni affermò in una sua dissertazione accademica del 1804 che nel corso del ‘700 a Mantova si erano contate 26 epidemie e 12.876 morti (la città allora in media contava circa 20.000 abitanti).
All’inizio del ‘700 fu introdotta in Europa la pratica dell’innesto del vaiolo umano o vaiolizzazione, grazie alla sua promozione da parte della moglie dell’ambasciatore inglese a Costantinopoli Lady Mary Wortley che era venuta a conoscenza degli studi dei medici greci Jacopo Pilarino ed Emanuele Timoni; essi avevano osservato i risultati che da secoli una popolazione caucasica, i Circassi, otteneva deponendo una piccola quantità di pus vaioloso sopra un graffio praticato sulla cute di un braccio. Il pus prelevato da persone colpite dalle forme meno gravi dell’infezione (Vaiuolo Minor) e innestato liberava i vajolizzati dal pericolo di contrarre la malattia. La metodica in Europa inizialmente ebbe diffusione limitata incontrando parecchie resistenze sia di ordine religioso che medico.
Nel 1773 il governo asburgico incaricò Antonio Zacchè, direttore della facoltà Fisica della Reale Accademia (oggi denominata Accademia Nazionale Virgiliana) di Mantova, di effettuare un esperimento di vaiolizzazione e di riportarne i risultati. Analoghi esperimenti erano già stati condotti in Italia e in altri paesi europei.
Lo scopo dichiarato era di contrastare i pregiudizi circa la metodica, tra i quali quello che l’inoculazione poteva risvegliare il vaiolo in chi ne era già stato colpito, quindi essere causa di epidemia, e quello che non era operazione sicura.
Per l’esperimento si scelse il luogo detto San Vito, situato nel sobborgo San Giorgio, subito al di là dell’omonimo ponte. La casa prescelta era dotata di finestre e di terrazzi che offrivano la vista della città, dei laghi, del monte Baldo: “Accanto ad essa poi scorre con moto perenne un picciol rio, chiamato Fossamana, il che rende l’abitazione lieta, ventilata e fresca”.
Scrive Zacchè: “Con l’aiuto del Conte Luigi Bulgarini, deputato a’ poveri della città, furono selezionati 18 fanciulli orfani (10 femmine e 8 maschi) de’ più sani e ben disposti del corpo. Si presentò da subito il problema di reperire un paziente affetto da vaiolo benigno da cui raccogliere il pus; dopo accurata ricerca si individuò al Foresto presso Volta un fanciullo di 4 anni in buone condizioni colpito da una forma di vajuolo mitissimo di maniera, che non fu costretto a giacere in letto nè pure un sol giorno. Il pus prelevato fu collocato in una picciol custodia d’argento dorata, che perfettamente serravasi con adattata vite”.
Il mattino del 26 maggio Antonio Zacchè, coadiuvato dai colleghi Giovanni Preti e Jacopo Bertolasi, primario medico all’Ospedal Grande di Mantova, inoculò il pus ai 18 bambini. Così Antonio Zacchè descrisse il metodo dell’innesto: “Intinta la punta d’una lancetta, nella raccolta marcia la si fece passare paralellamente per due o tre linee tra la cuticola, e cute nella parte esterna, e media del braccio manco, tra l’omero, ed il gomito, comprimendo dolcemente col pollice la parte incisa. Su d’ogni puntura s’intingeva di nuovo la suddetta punta. Su la parte inoculata non si applicò né cerotti, né fasciature […] Per ogni bambino innestato venne redatto un accurato diario clinico nei 40 giorni successivi. Alcuni bambini svilupparono nella sede di inoculo reazioni intense, altri poche pustole, un paio lamentarono bruciore e prurito, pochi ebbero febbre; due bambine che avevano già avuto il naturale vajuolo non svilupparono reazione alcuna”.
Concludeva Zacchè: “L’innesto non fa rinascere questa malattia, come si temeva da più d’uno de’ nostri concittadini (…) Il metodo d’innestare oggi giorno è semplice, facile, comodo e sicuro; e che non v’è più ragione né esperienza che favorir possa gli anti-Inoculatori, i quali in processo di tempo abbraccieranno una causa tanto utile all’umanità”.
L’Archivio dell’Accademia Virgiliana conserva alcuni manoscritti dedicati al vajuolo: è del 1775 la dissertazione Innesto del Vajuolo con vari metodi eseguito nel Ducato di Sabbioneta l’anno 1775 di Giampietro Fiorio. Nell’aprile 1796 Pietro Tonni lesse due discorsi, l’uno in cui si soffermò sulla strage di bambini causata dall’infezione l’anno precedente (e ben dettagliata da Domenico Gelmetti nel suo Costituzione delle malattie osservate in Manto- va nell’anno 1795), l’altro dedicato all’utilità della vajolizzazione.
La vaiolizzazione fu soppiantata dalla vaccinazione jenneriana, cioè da quella metodica studiata e praticata da Edward Jenner (1749-1823): il medico inglese, avendo osservato che chi contraeva il vaiolo dei bovini, il cow-pox, non si ammalava mai di vaiolo, nel 1796 innestò con successo un bambino con il pus prelevato da una contadina affetta da tale infezione. Nel giro di pochi anni la vaccinazione fu praticata in tutto il mondo grazie alla reazione più contenuta. Il nuovo metodo di immunizzazione fu accolto con favore da Pietro Tonni che lesse nel gennaio 1804 Prolusione e memoria sulla vaccinazione, evidenziando i vantaggi che esso garantiva rispetto alla vajolizzazione.
Oggi con il termine di vaccinazione si intendono tutte le pratiche di immunizzazione rivolte alla prevenzione delle infezioni. Ritengo che, nonostante la relativa esiguità dei soggetti inseriti nella sperimentazione mantovana, la Reale Accademia di Mantova abbia contribuito alla diffusione di una metodica oggi universalmente praticata, anche se da taluni contrastata, in ultima analisi che abbia contribuito alla visione razionale e scientifica caratterizzante la mentalità moderna.
(Tratto dal periodico La Reggia, giugno 2020)
Di Andrea Zanca, direttore struttura Dermatologia ASST Mantova, membro Accademia Nazionale Virgiliana