Le strategie di un carcere che promuove salute

Medicina penitenziaria, l’empowerment di comunità  per passare dal modello medico-assistenziale all’ approccio sociale alla salute per persone con fragilità

La realizzazione di una politica di promozione della salute è un processo sociale che non comprende solo azioni volte a rafforzare le abilità e le capacità individuali, ma include anche percorsi atti a modificare le condizioni socio-ambientali e culturali che impattano sulla salute del singolo e della comunità; per un “empowerment di comunita’” è necessario un coordinamento inter-istituzionale per la realizzazione di azioni condivise volte al miglioramento dello stato di salute e della qualità della vita.

La promozione della salute nel contesto detentivo ha una valenza più ampia di quella sottesa all’educazione alla salute. Ha anche necessità di definire un background idoneo alla cultura di salute penitenziaria, quindi tenendo in considerazione la modulazione dell’ambiente fisico e sociale degli istituti detentivi e i legami con le istituzioni (Aziende Socio-sanitarie Territoriali e Agenzie per la Tutela della Salute, il Comune, la Regione, il Provveditorato Regionale e così via).

Il carcere è caratterizzato da eterogeneità per età, genere, gruppo sociale, repertori linguistici e culturali, stili di vita nonché una pluralità di abilità individuali; gli utenti presentano una fragilità di base, la privazione della libertà. La Medicina Penitenziaria, secondo la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (legge in Italia da 2009) punta a rimuovere barriere tra il paziente ed il Sistema Socio-Sanitario, creare opportunità, favorire autonomia, partecipazione, inclusione.

La progettazione di percorsi di salute prevede la proposta di attività sanitarie educative e formative volte a sensibilizzazione in tema di azioni su misura per ciascuno e adattati allo specifico contesto ambientale. L’empowerment di comunità accompagna il passaggio dal modello medico-assistenziale al modello sociale di presa in carico delle persone “socialmente fragili”.

Nella casa circondariale di Mantova è stata proposta un’attività ludico-terapeutica rivolta a sotto gruppi della popolazione, un punto di partenza per percorsi di autonomia, mutuo aiuto e inclusione. Si tratta della biodanza, una Disciplina BioNaturale (DBN Regione Lombardia) come percorso pilota di “Community Empowerment” in ambito detentivo.

S’indirizza il laboratorio sia a ristretti che a operatori sanitari di Medicina Penitenziaria; questo sottolinea il passaggio tra il concetto di modello medico-assistenziale e il modello sociale di presa in carico della salute in pazienti con fragilità. La partecipazione attiva della comunità nell’elaborazione dei programmi che hanno un impatto sulla salute è una delle strategie raccomandate da oltre vent’anni dalla Carta di Ottawa (OMS); i processi partecipativi sono percorsi di grande complessità, ma anche una grande opportunità per condividere obiettivi di salute.

I livelli partecipativi presentano crescenti complessità; si inizia con l’essere parte del processo per dare l’opportunità al singolo di riconoscersi e di essere legittimato nei propri problemi e nelle proprie potenzialità; si progredisce con l’opportunità di intervenire nel processo decisionale, dando la possibilità di influenzare le scelte anche a coloro che abitualmente non sono inclusi nell’elaborazione dei programmi di salute.

Esiste una correlazione tra isolamento sociale e cattiva salute ed è per questa ragione che va stimolata la volontà di cambiamento del singolo con l’apertura cognitiva al concetto di solidarietà. Si deve lavorare su meccanismi alla base del buon funzionamento del sistema: più informazioni, esempio positivo; più servizi, più accessibilità; miglioramento dell’autostima, supporto affettivo, rispetto reciproco.

Nella pratica quotidiana in carcere è necessario aprire uno spazio di partecipazione che può servire a far incontrare, per superare pregiudizi e creare le condizioni che permettano di costruire rapporti di fiducia, di sviluppare reti e integrazione tra i diversi attori istituzionali e della società civile.

Individuare gli ostacoli all’avvio, allo sviluppo e al mantenimento della partecipazione: l’asimmetria informativa, la disorganizzazione, le scarse dotazioni, i vincoli normativi e professionali. Tutto ciò induce spesso a conflitti la cui gestione è una delle competenze più critiche da affrontare e può innescare demotivazione e crollo della partecipazione.

Il disegno progettuale della Medicina Penitenziaria prevede l’accompagnamento dei partecipanti in questo percorso, documentando i passaggi di acquisizione di competenze relazionali e comunicative, progressiva autostima ed autocontrollo; la strutturazione di strategie per il mantenimento della partecipazione, mantenimento della motivazione con sviluppo di skills individuali e di gruppo per la gestione dei conflitti interni.

Nella casa circondariale di Mantova un gruppo di pazienti sta partecipando alla realizzazione di un foto-film “Community Empowerment” che sarà diffuso ad altri ristretti-operatori presenti in carcere e in contesti ufficiali (seminari, conferenze, congressi scientifici, scuola e università, eventi istituzionali dell’amministrazione penitenziaria); Regione Lombardia, in particolare il Coordinamento Regionale di Sanità Penitenziaria, offrirà l’opportunità di esposizione in stand dedicato a “Fuori Expo 2020” che si terrà da ottobre 2021 a marzo 2022 a Dubai.

Laura Mannarini, coordinatore sanitario Medicina Penitenziaria ASST Mantova

Nella foto in homepage l’opera “Per RINASCERE con FORZA attraverso la CURA, di noi stessi e degli altri“, realizzata in occasione del laboratorio DBN, luglio 2021

 

 

 

 
 
Laura Mannarini, medico, è coordinatore sanitario della Medicina Penitenziaria dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Mantova.
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