L’infettivologo punto di riferimento di una rete ospedaliera e territoriale

Il direttore Salvatore Casari: “Per effetto del Covid più consapevolezza del nostro ruolo. Manterremo alta la guardia, ma occorre riportare l’attenzione anche sulle altre patologie”

Da un anno e mezzo in primissima linea nella lotta al Covid. Le Malattie Infettive hanno messo in campo uno sforzo senza precedenti, di cui si potrà fare tesoro anche negli anni a venire. Il direttore della struttura del Carlo Poma Salvatore Casari fa il punto della situazione, analizza l’esperienza di questo periodo drammatico e immagina il post pandemia. Che non è dietro l’angolo.

Una fotografia all’emergenza oggi…

Non possiamo abbassare la guardia. I letti dedicati in reparto sono passati da 10 a 5 (venerdì 16 luglio, ndr), a fronte di una riduzione dei casi, ma siamo pronti in qualsiasi momento a rimodulare questa organizzazione per gestire eventuali nuove ondate.

Che tipologie di pazienti Covid ricoveriamo in termini di età, lunghezza della degenza, gravità della malattia?

I degenti sono una decina (al 19 luglio, ndr), due su tre hanno meno di 60 anni. In Pronto Soccorso valutiamo pazienti giovani e con sintomi spesso di entità più lieve rispetto alla prima ondata, che ha colpito prioritariamente la popolazione anziana. Tuttora sono però ricoverati sia in Malattie Infettive che in Utir pazienti fra i 40 e 50 anni con un quadro di allarme. La vaccinazione contribuisce ad alleviare la severità della patologia, perché si ammalano soprattutto persone più giovani, non vaccinate, quindi con meno fattori di rischio. Ma certamente anche ora gli ultra 60enni non vaccinati sono a rischio di evoluzione severa della malattia, così come lo erano nei mesi scorsi. Attualmente abbiamo comunque più risorse, anche per frenare la gravità dell’infezione. Una di queste gli anticorpi monoclonali, con cui abbiamo trattato 11 persone. Si possono somministrare solo a determinate categorie di pazienti, non sono efficacissimi, ma possono aiutare e presto ne saranno disponibili altri più efficaci.

Quali sono le lezioni più preziose che avete appreso?

Sicuramente una maggiore consapevolezza del lavoro e del ruolo dell’infettivologo da parte delle direzioni e degli stessi specialisti, cosa che ha contribuito anche a una maggiore coesione delle équipes medica e infermieristica. Poi, il perfezionamento di procedure importanti, come l’impiego dei dpi e il lavaggio delle mani, che ci accompagneranno per molto tempo. Abbiamo inoltre riorganizzato tutti i settori del nostro reparto: degenze, day hospital e ambulatorio. La pandemia ha provato molto la mia squadra dal punto di vista fisico ed emotivo, soprattutto nei primi mesi, quando ci si è trovati alle prese con un evento immane e sconosciuto e non c’erano ancora protocolli terapeutici ai quali rifarsi. La standardizzazione delle cure ha invece allentato un po’ la tensione negli operatori. Le vaccinazioni, finora, hanno fatto compiere un ulteriore passo avanti.

Emergenze del passato che l’hanno colpita particolarmente in analogia a quella attuale?

Ricordo l’Hiv come qualcosa che mi ha sconvolto. Avevo 30 anni ed ero più vulnerabile. Era molto angosciante veder morire tanti giovani della mia età e piangere tanti genitori come i miei. L’emergenza Aids è durata oltre 10 anni, fino alla messa a punto di terapie efficaci. Ho affrontato ciò che accadeva con grande disagio, ma credo che questo vissuto mi abbia reso più razionale nell’approccio al Covid.

 Uno sguardo al futuro: in che modo questa esperienza così complessa cambierà la prospettiva delle Malattie Infettive?

Il presente è già futuro. Regione Lombardia ha recentemente istituito la Rete Infettivologica Lombarda, che mira a coordinare l’attività degli specialisti a livello ospedaliero e territoriale. In una prima fase il progetto prevede il coordinamento e la centralizzazione dei pazienti Covid nei presidi dove sono presenti le Malattie Infettive. Pensiamo che successivamente l’infettivologo possa diventare il punto di riferimento territoriale per la gestione delle infezioni e delle terapie antibiotiche, in particolare negli ospedali esterni, nelle case di cura e nelle Rsa. Lo scopo è di coordinare l’impegno contro le infezioni correlate all’assistenza e ottimizzare l’impiego degli antibiotici.  Inoltre, con le riaperture abbiamo osservato una ripresa delle patologie da socializzazione, come le malattie sessualmente trasmissibili e l’infezione da Hiv, nonché di quelle legate al degrado sociale, come la tubercolosi. Soprattutto queste ultime, nei mesi scorsi, hanno avuto il tempo di svilupparsi indisturbate. Infine, dobbiamo concentrarci su altre patologie gravi, che in parte sono state poste in secondo piano, prima tra tutti l’infezione da Hcv, per cui esiste un cospicuo finanziamento statale per l’emersione dei casi non noti, grazie all’esecuzione del test a tutte le persone nate tra il 1969 e il 1989, ovvero agli utenti dei Ser.D. e ai detenuti.

Le parole chiave per gli anni a venire?
Apertura degli infettivologi verso il territorio e migliore collaborazione con le altre discipline dell’ospedale.

 

 

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