Silvana Ceruti, da 26 anni volontaria dietro le sbarre per condurre un laboratorio di lettura e scrittura: “C’è chi cambia e chi no. L’importante è cercare la bellezza che sta dentro a ciascuno”
“Nacqui ortica selvatica, seme prezioso sperperato al vento in campi incolti”. Albert: isola selvaggia, isola sovrana, isola grezza. Albert città borghese, città di artificiose certezze, città grigia. La poesia sgorga come balsamo digestivo dalle celle del carcere di Opera. Si adagia sui cuori inquieti dei detenuti. Rischiara i loro volti scavati dalla sofferenza. S’infila fra le sbarre e va, vola dove il cielo non è racchiuso in un rettangolo di ferro o cemento.
La storia di Albert è sorella di quelle di tanti altri carcerati che hanno saputo trasformare la loro rabbia e frustrazione in parole. Le parole. A volte stridono, come chiavi dentro le serrature che chiudono fuori il mondo. Altre volte suonano come note sublimi che trasformano un istante, una giornata. O addirittura una vita. La poesia ha fatto tornare Pino sui libri, perché lui la prima volta che l’ha incontrata era fermo alla quarta elementare. Una soddisfazione per Silvana Ceruti, scrittrice e poetessa, ex insegnante che da 26 anni conduce un laboratorio di lettura e scrittura creativa nella principale casa circondariale italiana: “Un amico gli ha fatto uno scherzo e lo ha iscritto a questa attività. Ricordo che quando è arrivato in laboratorio e ha capito la situazione è arrossito. Poi ha deciso di sedersi fra noi e non ci ha più lasciati. Lo stimolo è stato così forte da convincerlo a terminare gli studi”. Fra un verso e l’altro, è arrivato fino al diploma superiore.
Dopo un breve incarico professionale ricevuto dal Comune di Milano per un corso di motivazione alla lettura a Opera, Silvana Ceruti ha scelto di mantenere l’appuntamento fisso come volontaria. Ogni sabato dalle 9 alle 12, salvo il mese di agosto, raggiunge il suo gruppo di detenuti – una ventina, fra i 18 e i 60 anni e oltre – li aiuta a guardare la realtà con occhi nuovi. Si legge, si stacca per un momento di convivialità, si scrive. Poi a turno ciascuno condivide un argomento del quale discutere: “Siamo una comunità, che unisce chi sta dentro e chi sta fuori. Compagni di viaggio, perché è fondamentale percorrere un pezzo di strada insieme, soprattutto dentro di noi. Spesso c’è chi scopre di avere sentimenti nuovi, emozioni, talenti. Risorse che non sapeva nemmeno di avere”.
Come un altro detenuto, che dopo avere scontato 47 anni di ‘fine pene mai’ dice che la poesia è diventata la sua vita. Lo ha salvato? Senz’altro lo ha curato: ha imparato a scrivere con tanta forza espressiva che è maturo per pubblicare un proprio libro. Altri hanno già raggiunto il traguardo oppure le loro liriche compaiono nelle svariate antologie pubblicate dalla casa editrice La Vita Felice: In un mignolo d’aria; Le case da lontano; Vigilando il lavoro dell’orologio; Pane, acqua e…; Ti darò un vento gentile; Attraversando muri di silenzio; Preghiere dal carcere; Gridi e preghiere dal carcere.
Lo stesso editore, Gerardo Mastrullo, ha contribuito a fondare l’associazione che gestisce il laboratorio di Opera. Un’attività capace di arricchire tutti, che “ha fatto innamorare pian piano molti altri amici, coinvolgendoli in questa avventura”, assicura Silvana: “Prima Nina Kaucisvili, docente di letteratura russa all’Università di Bergamo, ora scomparsa. Poi il poeta Alberto Figliolia, la fotografa Margherita Lazzati e molti altri. Cerchiamo in particolare la bellezza interiore”.
La pandemia ha imposto uno stop al laboratorio in presenza, ma non alla possibilità di continuarlo tramite un collegamento in videochiamata per gruppi ristretti di persone. Il viaggio continua, ha solo cambiato mezzo di trasporto: “Ho trovato persone sensibili, generose, amichevoli. Fra noi si crea un clima speciale. Condividiamo la tristezza, ma anche momenti di allegria. Certo, il dolore che incontro mi mette alla prova, ma quando torno a casa sono lieta di avere portato un momento di sollievo e di averlo ricevuto in cambio. L’importante ènon essere vincolati all’esito di quello che si fa. Purtroppo l’indice di recidiva nelle carceri italiane è alto, in molti vengono scarcerati e non riescono a trovare un lavoro che permetta loro di vivere dignitosamente. Anzi, neppure una abitazione. La società non li aiuta, quindi ricadono nella rete”.
Anche i rapporti fioriscono. Si mantengono i contatti, nascono amicizie di lungo corso con gli ex detenuti. Proprio mentre lo racconta, Silvana riceve una telefonata da uno di loro: è Calogero. Legge per lei i suoi ultimi versi: “Chiesi a Dio di essere forte per raggiungere obiettivi grandiosi, egli mi rese debole per comprendere meglio la vita. Domandai a Dio la felicità per non conoscere la tristezza, e lui mi diede il dolore per insegnarmi a non provare egoismo”.
Non sono solo i detenuti a cambiare. Anche chi sta dall’altra parte conquista qualcosa: la tolleranza, uno sguardo che non giudica, magari rispetto al fallimento di un’impresa che va vissuta nel presente, senza pretese. Così Albert, ortica selvatica, ma non ortica inutile. E al contempo pianta forte, rimedio alla calura, tessuto resistente.
Pubblichiamo di seguito le poesie di due detenuti del carcere maschile di Opera, Milano:
NACQUI ISOLA SELVAGGIA
Nacqui isola selvaggia,
preda dei Baroni della terra,
schiavo del latifondo,
sudario di sfruttamento.
Nacqui isola sovrana
in mari di servilismo indegno,
distinti violenti vessilli,
uguali logiche dominatrici.
Nacqui isola grezza,
spoglio terreno brullo al tatto,
incoerenti uguaglianze
di fronte all’altare della legge.
… e mi feci scelta di libertà perduta.
Nacqui città borghese,
preda del perbenismo ipocrita,
schiavo della corsa all’avere,
dimentico di viscerali legami.
Nacqui città di artificiose certezze
e sicurezze aleatorie,
di asettici vincoli
e vigilanze inconsce.
Nacqui città grigia,
servitore dell’iperrealismo
e del capitale traditore,
di utopie sfiorite
e sfarzo scintillante.
… e mi feci scelta di umanità perduta.
Nacqui ortica selvatica,
seme prezioso
sperperato al vento
in campi incolti.
Nacqui pianta forte,
rimedio alla calura
e Balsamo digestivo.
Tessuto resistente.
M’abbandonarono ortica,
di me non si presero cura,
ora in festo contrade
e rampi co pareti.
Tanta fatica sradicarmi da terra,
strapparmi dai muri, ora.
solo chiesi un po’ d’amore,
impegno scostante,
compagnia millesimale.
… e mi feci scelta di utilità perduta.
Non v’è isola selvaggia,
Città borghese
od ortica inutile,
solo maree prepotenti,
insaziabili pupari
e riprovevoli coltivatori.
Albert B., Nacqui ortica selvatica –Poesie dal carcere, edizioni La vita Felice
HO LA VITA
Chiesi a Dio di essere forte per raggiungere obiettivi grandiosi,
egli mi rese debole per comprendere meglio la vita.
Domandai a Dio la felicità per non conoscere la tristezza,
e lui mi diede il dolore per insegnarmi a non provare egoismo.
Chiesi a Dio l’amore per avere la gioia di innamorarmi,
lui mi diede la solitudine affinché capissi cosa significa essere soli.
Gli domandai tutto per conoscere la vita,
mi lasciò la vita per essere contento di tutto.
Non ho ricevuto niente di ciò che avevo chiesto,
ma ho quello di cui avevo bisogno per vivere e capire
… ho la vita
Calogero C.
Elena Miglioli è il direttore del periodico Mantova Salute, responsabile dell’Area Ufficio Stampa, Comunicazione e Urp ASST di Mantova. Giornalista professionista, scrittrice, poetessa. Ama tutte le forme d’arte, ma mette la musica (classica) al primo posto.