Il carcere e il Covid: “La chiave è stata la comunicazione con i detenuti”

L’esperienza dell’equipe di Medicina Penitenziaria nella Casa Circondariale di Mantova e dei pazienti

Un lavoro di squadra che ha visto impegnati gli operatori sanitari, il personale penitenziario e la popolazione detenuta durante l’emergenza. A livello organizzativo si è creata un’ottima sinergia tra il carcere e l’ASST. La priorità era ed è tuttora non far entrare il virus nella nostra comunità. Triage all’ingresso agli operatori abituali ed anche ai visitatori occasionali, indagine anamnestica e misurazione della temperatura corporea, attenzione particolare con tamponi rinofaringei a tutti i detenuti nuovi giunti con isolamento prima dell’ammissione ai reparti di vita in comune.

Ad oggi nessun caso Covid-19 positivo nella popolazione detenuta; tra gli operatori penitenziari in tutta l’emergenza solo un caso debolmente positivo contratto fuori dall’ambito lavorativo e prontamente allontanato grazie a un programma di screening con esecuzione di tamponi rinofaringei a tutti gli operatori e ripetuto in caso di situazioni a rischio (come ad esempio prima della ripresa di attività lavorativa dopo periodo di malattia prolungata). Con l’esecuzione dei tamponi rinofaringei e successivamente con i test sierologici abbiamo attivato un sistema di sorveglianza sanitaria sia per i detenuti presenti che per il personale penitenziario che tuttora manteniamo.

Abbiamo avuto giorni di sconcerto, ansia e disorientamento – commenta Simona Olivini, infermiera – ma non avevamo tempo da perdere. Gli interventi preventivi e pro-attivi promossi nella Casa Circondariale di Mantova, in stretta collaborazione tra le varie istituzioni e i diversi professionisti, hanno garantito la fruizione e la condivisione delle corrette procedure da attuare, creando un clima disteso, comunicativo e cooperativo anche nelle sezioni detentive”.

Cristina Ceresa, coordinatrice infermieristica, parla dei dispositivi di protezione individuale: “La mia preoccupazione principale era che tutte le persone fossero adeguatamente protette con i dpi, andavo personalmente in ospedale per assicurarmi che arrivassero in numero adeguato. Devo dire che siamo stati soddisfatti dell’ottima collaborazione con il Servizio di Prevenzione e Protezione”.

Enrico Lazzarini, medico, spiega che nel momento di massima emergenza la situazione in carcere è stata tesa ma controllata: “Le presenze in carcere sono diminuite. L’attenzione verso i sintomi dei pazienti è stata sempre alta ed ha richiesto non pochi sforzi. Per i detenuti la situazione non è stata semplice da gestire, non avendo contatti con l’esterno al di fuori degli operatori penitenziari; la comunicazione è stata fondamentale ed efficace e sono sicuro che la sensibilizzazione fatta verso i detenuti abbia giocato un ruolo di grande importanza nel minimizzare potenziali disordini interni.

Una buona organizzazione che è stata agevolmente applicata grazie al grande senso di responsabilità civile dimostrata dagli utenti e dagli operatori. In particolar modo si sottolinea l’impegno nella Direzione della Casa Circondariale, della Polizia Penitenziaria e dei Funzionari Giuridico Pedagogici. Si è registrata un’adesione alle indicazioni per contenere l’emergenza valorizzando la comunicazione con gli utenti, coinvolti in tutte le fasi al fine di capire il significato e l’importanza di ciascun provvedimento.

Andrea Uberti, medico neoabilitato, racconta la sua esperienza: “Alla mia prima esperienza professionale, ho scelto la medicina penitenziaria come opportunità di mettere in pratica quanto appreso con i miei studi, venire in contatto con una realtà nuova, testando le mie capacità di adattamento all’ambiente lavorativo. Occorre esser fieri della forte collaborazione del personale medico, infermieristico e della polizia penitenziaria, che sono stati in grado di proteggere ed accudire gli ospiti dell’istituto. Entrare a far parte di questo gruppo di professionisti significa accettare una vera sfida, che comporta un considerevole impegno, ma allo stesso tempo dà grandi  soddisfazione per i risultati raggiunti”.

Qual è il punto di vista dei pazienti? Lo spiega uno di loro, Alessandro: “Ci siamo sentiti chiusi due volte, all’improvviso eravamo più isolati del solito, non avere più figure familiari presenti all’interno, anche se solo per poche ore alla settimana, è stato molte pesante; ci ha aiutato il carcere attivando i colloqui telematici via skype e un numero maggiore di telefonate. Siamo andati bene, tutti negativi e anche le nostre famiglie. Sia la Direzione del carcere che i sanitari ci hanno sempre spiegato tutto passo dopo passo e questo ci ha sostenuto”.

L’impegno nella prevenzione primaria contraddistingue la nostra equipe, anche in emergenza abbiamo cercato di fare informazione e formazione; counselling individuali o materiale illustrativo per spiegare il lavaggio delle mani, la disinfezione delle superfici, la trasmissione del virus; il paziente ben informato compie sempre scelte migliori e la consapevolezza, l’empowerment individuale e di comunità favorisce il perdurare di comportamenti salutari.

Rossella Artioli, infermiera, precisa: “Nel nostro ambiente lavorativo abbiamo voluto portare serenità. Abbiamo spiegato alla popolazione detenuta alcune strategie da adottare affinché il virus restasse “fuori”. Abbiamo dato spazio ad interventi relazionali per bilanciare la mancanza di contatti socializzanti con l’esterno sospesi da subito per causa di forza maggiore…”

Ghislain Ngassam, medico: “Ad essere sincero non è cambiato molto nel rapporto con i pazienti, siamo abituati a relazionarci con loro, cercare di capire se hanno bisogno di qualcosa e loro in genere si esprimono liberamente; io ho lavorato con serenità da subito perché si poteva lavorare in sicurezza”.

Abderrahim, paziente, sottolinea tutto quanto è stato fatto per evitare la diffusione del virus: “Stare distanti, pulire bene il tavolo con amuchina, lavare le mani tante volte al giorno… dentro o fuori le preoccupazioni sono le stesse, siamo tutti uguali davanti al virus, siamo stati bravi e fortunati; siamo sollevati per non aver avuto casi in Istituto.”

Laura Mannarini è medico coordinatore sanitario Medicina Penitenziaria ASST Mantova

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