Di Cristina Lacava – Foto di Sara Castiglioni
Fiori, frutta, legumi, erbe. Profumi e colori invitanti. Ma per alcune bambine e adolescenti ricoverate in pediatria all’ospedale di Pieve di Coriano, in provincia di Mantova, sono elementi ostili. Il cibo, e tutto il mondo che gli gira intorno, è il nemico. Meglio starne alla larga, non proporlo alle pazienti nemmeno per gioco. Per questo, quando una volontaria del reparto, la professoressa Sara Capursi, ha chiesto alla sua amica Sara Castiglioni, fotografa di cibo, di darle una mano, la prima risposta è stata secca: no. «Mi sentivo la persona sbagliata nel posto sbagliato. Come potevo aiutare?» ricorda Sara.
Invece (e per fortuna) ci ha ripensato e ha accettato la sfida. Il risultato lo vediamo – in parte – in queste pagine: una serie di “mandala” (i disegni circolari della tradizione indiana che rappresentano l’universo) creati dalle ragazzine, fotografati e ora esposti in una piccola mostra in ospedale. Proprio quel cibo che provoca angoscia e senso di colpa, svuotato dal suo significato si trasforma in bellezza e armonia. Al punto da essere accarezzato da quelle stesse mani che lo detestano.
Vincere la paura del cibo
L’ospedale di Pieve di Coriano, al confine tra le province di Mantova e Modena, è un importante presidio sul territorio: «Nel reparto di pediatria abbiamo 3-4 posti letto destinati a bambine con disturbi alimentari» dice il primario, Paola Accorsi. «Siccome lavoriamo con numeri piccoli, riusciamo a intervenire in una fase iniziale e a fare progetti individuali. A quest’età, meglio stare in un piccolo reparto che in un grande centro specializzato». La cura e l’attenzione per ogni singola bambina (i maschi sono rarissimi), il coordinamento tra neuropsichiatri, pediatri, dietologi, educatori e, all’esterno, con la scuola e gli assistenti sociali, permettono di gestire ogni situazione, anche dopo le dimissioni. I genitori anche loro in terapia – non vengono mai lasciati soli. Il percorso è lungo: 1-2 mesi di ricovero, poi il day hospital e il ritorno a casa. In tutto occorrono un paio d’anni. Un tempo lunghissimo per queste ragazzine (età media 12-15 anni, ma entrano dagli 11), che va riempito con attività che le aiutino a star meglio e a ritrovare serenità, come il teatro e la pet therapy. Qui si è inserito il progetto dei mandala; partito in sordina, senza un vero obiettivo, ha avuto un successo travolgente.
«Ero entrata per aiutare una tredicenne a preparare l’esame di terza media» racconta Sara Capursi, docente di francese. «Poi sono rimasta come volontaria; suono la chitarra, insegno anche inglese. Ho scoperto in qualche bambina una passione per la fotografia e ho chiamato la mia amica Sara Castiglioni. È stata lei a proporre alle ragazze di creare i mandala. Le prime volte ha portato legumi e frutti secchi, che le ragazze hanno disposto in cerchi, secondo il loro gusto. Poi è passata agli agrumi freschi; il mandala con le arance aveva un profumo straordinario. Da allora abbiamo lavorato con la frutta di stagione. Noi la tagliavamo, loro facevano la composizione, liberamente. Ma anche se maneggiavano arance e ciliegie, non sono mai riuscite a mangiarle, nonostante gliel’avessimo chiesto».
L’inizio non è stato facilissimo, le ragazze hanno dovuto vincere la paura di toccare il cibo. Ma nel silenzio, lavorando a ritmi lenti, «ci sono riuscite, con risultati insperati» dice il primario. Tanto che, quando la fotografa ha chiesto loro di descrivere in una parola l’esperienza, i termini più usati sono stati equilibrio, tranquillità, colore. «Siamo rimasti sorpresi, nel vedere quanta serenità abbia portato questo lavoro, forse anche perché era fatto in gruppo, era un’esperienza da condividere. Così, il veleno si è trasformato in bellezza e armonia». E soprattutto, le giovanissime artiste si sono sentite più forti, più consapevoli. Con le foto dei mandala di cibo realizzati dalle pazienti si realizzerà un calendario per raccogliere fondi per l’ospedale di Pieve di Coriano.
La creatività scatena emozioni positive
Basta leggere le riflessioni che le ragazze hanno scritto per illustrare le foto. Come quella di Alice: «Concentrarsi sulla geometria, sui colori, sui profumi e sui sapori dei mandala mi ha portato a sorridere anche nei difficili momenti del ricovero. L’impegno, la pazienza, l’attenzione ai particolari hanno sviluppato in me una piacevole sensazione di serenità». O di Sara: «Sono riuscita a scacciare i pensieri negativi che avevo in testa, perché mi concentravo sul lavoro e non pensavo ad altro». O di Elisa: «Abbiamo dovuto avere molta creatività abbinando colori diversi che uniti trasmettevano emozioni forti; perché ogni momento trasmetteva un’emozione diversa che in quel momento leggeva la nostra mente, i nostri pensieri e perplessità».
A settembre il laboratorio ricomincia. L’obiettivo è arrivare a 12 mandala (per ora sono 9), e farne un calendario, per raccogliere fondi in favore dell’ospedale.
Tratto da IoDonna, Corriere della Sera, 10 agosto 2019