I trent’anni di Abeo Mantova, quando la malattia diventa un seme: “Una storia di speranza nata da una vicenda personale di sofferenza”

Il presidente Vanni Corghi diede vita all’associazione in occasione della grave patologia che colpì il figlio: “Oggi siamo in 150 e non ci fermiamo mai”

Vanni Corghi, presidente di Abeo, ha dato vita all’associazione di volontariato mantovana che compie trent’anni. Una storia partita da una vicenda personale di sofferenza trasformata in speranza e in un moltiplicatore di progetti per costruire una sanità migliore. Proprio la speranza è all’origine di molti traguardi raggiunti al fianco dei piccoli pazienti emopatici oncologici e dei loro familiari. Vanni, di Porto Mantovano, classe 1949, ha iniziato il suo viaggio da Verona per curare la grave malattia del figlio Omar, portando frutti anche nella sua provincia.

Come è cominciata questa avventura?
Nel 1990 mio figlio si è ammalato di leucemia. In quegli anni non esistevano le cure odierne: la sopravvivenza era del 50 per cento. Uno su due non ce la faceva. Io ero responsabile del settore tecnico e commerciale della ditta Schirolli arredi che aveva filiali in molti Paesi europei. Così, tramite le conoscenze lavorative, cercai aiuto per tentare una terapia in Germania, Francia, Inghilterra. Finalmente riuscii a rintracciare un medico italiano, il professor Gaburro di Verona, Borgo Roma. Ci raggiunse all’ospedale di Mantova per una consulenza, in quanto Omar stava vivendo una fase acuta ed era molto rischioso spostarlo. Arrivò però il giorno in cui ci fu proposto di trasportarlo a Borgo Roma per il ricovero. I medici non si prendevano la responsabilità di farlo, perché era possibile che non sopravvivesse. Ci pensammo io e mia moglie, il bambino e lei a bordo di un’ambulanza, io dietro in automobile. Ricordo il mio pianto lungo tutto il tragitto. Da quel momento in poi la vita della mia famiglia cambiò, tutto iniziò a ruotare attorno a Omar.

Cosa avvenne a Verona?
Trovammo persone che diventarono nostre amiche. La speranza di salvare mio figlio fu condivisa da molte famiglie che oggi sono ancora in contatto con noi. Abbiamo dovuto compiere scelte gravose, come quella di aderire a un nuovo protocollo terapeutico tedesco, che inizialmente era molto pesante e poteva avere conseguenze negative, ma a lungo termine prometteva risultati decisamente più efficaci delle altre cure. Incontrammo chi ci aiutò a orientarci serenamente verso questa soluzione, sentimmo di essere nel posto giusto. Mia moglie rimase con il bambino nella sua stanza d’ospedale per tre mesi, senza mai uscire. Io mi muovevo avanti e indietro per lavoro e per seguire Katiuscia, l’altra figlia di 10 anni in più. Un giorno incontrai Gaburro sull’ascensore, che mi disse: “Suo figlio ha superato la fase critica”. Provai un’emozione e un sollievo immensi, che si rinnovarono continuamente fino alla guarigione di Omar. In quel periodo nacque anche l’esigenza, manifestata proprio dal personale sanitario, di radunare un gruppo di familiari che sostenesse la Pediatria veronese.

Così nacque Abeo Verona?
Sì, era il 1992. Io non risiedevo in quella provincia e in un primo momento non fui interpellato, ma poi riuscii ad entrare a fare parte dell’associazione Abeo Verona, che aveva come prima missione quella di istituire sedi locali in altre città, quali Brescia e Mantova, per la donazione di cellule staminali che sarebbero poi servite alla creazione del centro trapianti di Borgo Roma. Ecco come diedi vita ad Abeo Mantova, nel 1995. Ho avuto l’opportunità, proprio nel bisogno e nel dolore, di capire sulla mia pelle come ci si sente quando non sai se tuo figlio ce la farà. Ho intuito l’importanza per un genitore di essere accompagnato.

Da qui in poi la grande avventura di Abeo Mantova…
La nostra attività, nel corso degli anni si è articolata sempre di più. Dal 2005 al 2015 abbiamo iniziato a pensare a costruire spazi dedicati all’accoglienza di pazienti e familiari all’interno dell’ospedale per accogliere famiglie e bambini, affiancandoci all’azienda ospedaliera, poi Asst. In questo percorso è mio dovere ringraziare in particolare due figure chiave: i direttori generali Ivo Traldi e Luca Stucchi, che ci hanno spalancato le porte. Nel 2008, insieme a Stucchi abbiamo deciso di ricollocare la Pediatria del Carlo Poma, realizzando AbeoBolla. È stato un esempio di partnership molto consistente, perché il reparto è stato progettato interamente dall’associazione con AbeoBolla. Per realizzare questo spazio, l’associazione ha coperto 800mila euro di costi. Avevamo un grande coraggio e tanta forza di volontà, ma non c’erano volontari. Oggi invece siamo 150. Nella nostra storia trentennale posso individuare quindi tre fasi: la donazione di cellule staminali, la costruzione di spazi fisici nei reparti, l’avvio di progetti come AbeoSostegno per le famiglie dei piccoli pazienti, AbeoLilla nell’ambito dei disturbi alimentari, Abeo Piuma in Neonatologia.

Quali sono i sentimenti umani più belli emersi dalla tua esperienza di volontariato?
La speranza, la solidarietà, la collaborazione. La soddisfazione di poter intervenire proprio dove è presente un’esigenza concreta e basta essere curiosi e attenti per individuarle.

Quanto è servito il tuo retroterra professionale nella gestione di Abeo?
I volontari sono diversi dai dipendenti, l’approccio cambia, però ho cercato di dare un’impronta aziendale all’associazione. Anche qui oggi abbiamo quattro dipendenti part time che si occupano di segreteria, amministrazione, coordinamento progetti, comunicazione e ufficio stampa. Poi possiamo contare su alcuni collaboratori esterni: una psicologa, una dietista, figure professionali utili alle varie necessità. C’è anche una biologa che dopo 25 anni di contratti stipulati da Abeo ora è nell’organico effettivo di Asst.

La prossima sfida?
Non ci fermiamo mai. Nel 2026, all’ospedale di Borgo Mantovano, raccogliendo l’eredità e valorizzando l’impegno della primaria della Pediatria Paola Accorsi, scomparsa lo scorso anno, sarà attivata l’area AbeoVolo, per i pazienti con disturbi alimentari. Si tratta di una struttura del valore di 600mila euro. Abbiamo già partecipato a due bandi, raggiungendo il 50 per cento dei fondi che servono. Quanto alle spese rimanenti, contiamo sulla generosità di chi ci vuole bene e ci segue con fiducia, credendo in noi. La speranza è sempre di casa.

 

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