Continua il viaggio nel passato, a partire dalla cultura greca, che prevedeva la guarigione solo grazie all’intervento divino
In questo e nei prossimi numeri della rubrica ‘Come eravamo’, racconteremo la storia della sanità del Destra Secchia, pubblicando testi tratti dal libro ‘Antichi ospedali nel Destra Secchia dell’Oltrepò mantovano’, di Raffaele Ghirardi (2018, Publipaolini editore), cultore di storia e responsabile delle Attività di cure sub acute dell’ospedale di Borgo Mantovano. Il passato ci aiuta a capire il presente e a costruire il futuro.
Anche un’indagine relativa agli antichi ospedali di un’area periferica e relativamente circoscritta come quella parte dell’Oltrepo mantovano che sta alla destra del fiume Secchia, non può prescindere da alcuni cenni relativi all’oggetto di studio, con particolare attenzione sui nomi e sulla evoluzione storica di quei luoghi di cura definiti come ospedali. Appare utile e necessaria una analisi della trasformazione semantica, topografica, architettonica e anche normativa di tali istituzioni. Ma ancora non ci si può esimere da osservare come anche l’evoluzione della dottrina e della pratica dell’arte medica abbiano influenzato lo sviluppo della concezione e della struttura stessa dell’ospedale, così come i fenomeni sociali, economico-finanziari, religiosi e culturali in senso lato devono essere presi in considerazione.
Quando la medicina non era ancora distinta dalla dimensione magico-religiosa, nell’età antica della cultura greca dei secoli X e V a.C., quando la malattia era la conseguenza dell’hybris dell’uomo nei confronti della prerogativa divina, solo l’intervento divino, appunto, poteva riportare la guarigione, evento, quest’ultimo, che andava impetrato con orazioni e sacrifici. L’intermediario tra la divinità ed il malato non poteva essere il medico bensì il sacerdote o l’oracolo. Il luogo di cura era sostanzialmente un santuario, in prossimità di un bosco o di una fonte, siti caratteristicamente teofanici. Definiti “asclepiei”, dedicati al dio della guarigione Asclepio, erano spazi di preghiera con annessa palestra per esercizi ginnici, lunghi porticati ove, con l’aiuto del sacerdote, il malato era preparato al sonno, “incubatio” con termine latino, durante il quale, tramite il sogno oracolare, gli era rivelata la causa e la cura necessaria per la sua malattia.
Solo nell’età classica, il V secolo, con il pensiero ippocratico, la medicina rivendica la propria autonomia dalla dimensione soprannaturale e dalla filosofia, ribadendo un proprio statuto dottrinario e metodologico. Ippocrate definisce la medicina “téchne iatriké”, l’arte della cura, e il medico era un professionista itinerante o che esercitava in uno spazio a ciò adibito della sua abitazione, lo “iatrèo”. Anche nel mondo romano vi erano testimonianze, nei “valetudinaria”, di ambienti dedicati alla cura dei soldati e degli schiavi come del resto le stesse strutture termali erano ambienti ove ci si recava per il mantenimento del benessere ed il recupero della salute.
Le antiche regole dell’ospitalità monastica della tarda antichità e dell’alto medioevo ispirate da figure quali Pacomio, Basilio e Benedetto, traevano origine dalla parola di Cristo, tramite Matteo:”Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” (Mt. 25, 35-6). Già il concilio di Nicea del 325 d.C. stabiliva che ogni vescovo, ogni monastero dovessero provvedere ad un ricovero per poveri, pellegrini ed infermi, e fu nell’oriente bizantino, prima ad Odessa nel IV secolo e poi a Cesarea, in Cappadocia, ad opera del medico Basilio, che sorsero i primi “Xenodochia” ove si ospitava quella eterogenea popolazione che si caratterizzava per l’infirmitas.
Con tale termine, al di là di una condizione patologica, si delineava un mondo di reietti assai disomogeneo che condivideva una situazione che si potrebbe oggi definire di “fragilità sociale” ove certo era presente la povertà, l’indigenza ma non necessariamente la malattia. Almeno inizialmente la gestione di questi luoghi ove si praticava la misericordia erano gestiti da religiosi ed in particolare da monaci. La Regola benedettina riservava due capitoli all’ospitalità per i poveri infermi: “L’assistenza agli infermi deve avere la precedenza e la superiorità su tutto, in modo che essi siano serviti veramente come Cristo in persona, il quale ha detto di sé: Sono stato malato e mi avete visitato, e: Quello che avete fatto a uno di questi piccoli, lo avete fatto a me”. Ed ancora: “Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: Sono stato ospite e mi avete accolto”. E ancora: “[…] a tutti si renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri confratelli e ai pellegrini” (Regola benedettina, capitoli XXXVI e LIII).
di Raffaele Ghirardi, responsabile Attività di cure sub acute Borgo Mantovano