Un incontro con le studentesse che frequentano i corsi del Cpia delle diverse sedi territoriali per affrontare questa problematica
Come un groppo, inteso come viluppo, groviglio, nodo intricato (di esperienze ed emozioni connesse) può costituire attorno a sé un gruppo; come un groppo, nel gruppo, può essere dipanato e diventare un gomitolo; come un gomitolo può rappresentare un legame tra i componenti del gruppo, anche se per un tempo limitato.
È questa l’esperienza che voglio raccontare: di un groppo e di un gruppo. Il groppo è quello del tema della violenza di genere e il gruppo è quello che si è costituito per discutere il tema, un pomeriggio di maggio, tra le donne che hanno frequentato corsi di lingua italiana organizzati dal CPIA (Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti) di Mantova.
Quest’anno Asst Mantova (nello specifico i Consultori Familiari), insieme ad Ats della Val Padana, sono stati firmatari di una convenzione con il Cpia, che propone, tra i vari percorsi formativi rivolti a persone dai 16 anni, anche corsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana. La convenzione tra i diversi enti ha permesso di offrire agli studenti incontri sulla promozione della salute e sui servizi del territorio afferenti alla rete socio-sanitaria, nonché (e questa è la parte che ha coinvolto gli operatori dei consultori, in primis l’assistente sociale), un incontro sulla violenza di genere, proposto alle studentesse che frequentano le diverse sedi territoriali del Cpia della provincia di Mantova.
Per quanto riguarda la sede di Mantova città e il Consultorio di Mantova di Via dei Toscani, 1, l’incontro ha coinvolto una ventina di donne di diversa provenienza, dai 17 anni in su. Si sarebbe potuta proporre una lezione sui diversi tipi di violenza, come avviene di norma a scuola. Ma la scuola non è solo un luogo in cui si apprende, in cui c’è qualcuno deputato ad insegnare a qualcuno che è in una posizione ricevente: è anche un luogo di relazioni, di scambi reciproci tra insegnanti e studenti e tra gli studenti stessi.
La classe che si è costituita per l’occasione (le studentesse raccolte frequentavano classi diverse dell’istituto) è stata stimolata a diventare gruppo interrogandosi a partire da alcune domande che riguardavano il tema della violenza di genere: che cosa è per ciascuna di noi la violenza? Quali parole associamo a questo termine? Come si sente e cosa prova una donna che subisce violenza e perché è difficile uscirne? Quest’ultima domanda nasceva dalla constatazione che la grande maggioranza delle partecipanti conosceva una donna ritenuta ‘vicina’, che aveva subito maltrattamenti, da psicologici a fisici e la maggior parte, dalle loro parole, non era riuscita a risolvere il problema.
Proporre una discussione in una lingua che non è l’idioma materno è certamente stata una sfida, che, se da una parte ha tolto alla possibilità espressiva tutte le sfumature tipiche della propria lingua, a volte caratterizzanti solo quel contesto culturale, dall’altra ha generato un terreno comune e paritario in cui le parole, cercate, trovate e scelte da ciascuna sono diventate condivisibili.
Il risultato ha stupito per la ricchezza e la quantità di termini, contenuti, emozioni. Indipendentemente dalla provenienza geografica, dal Paese di origine, le donne che subiscono violenza sentono: paura, rancore, prostrazione, incazzatura, dolore, depressione, idea di non valere niente, demotivazione, desiderio di farla finita, ansia, preoccupazione, stress, rabbia, desiderio di volere reagire alla violenza con la violenza, agitazione, sensazione di non avere via d’uscita, senso di colpa e, infine, che la violenza subita fa ammalare.
Le riflessioni che ciascuna ha condiviso con le compagne di questo breve viaggio, riguardanti il perché sia così difficile uscire dal circuito della violenza, hanno evidenziato non solo le difficoltà economiche che deriverebbero nel caso, ad esempio, di una separazione, ma anche una serie di paure: di perdere i figli se si denuncia, di non essere aiutata, di essere marginalizzata dalla famiglia e dai parenti, del giudizio degli altri, della solitudine. Si aggiungono: la debolezza, l’abitudine e, infine, la sensazione che “senza di lui io non esisto”.
Ognuna ha contribuito con il proprio apporto e ricevuto quello delle altre in quanto portatrici di storie e competenze personali. Ognuna ha passato il gomitolo aggrovigliato del tema a un’altra, tenendo il filo tra le dita, dipanando il groppo. Sul volantino consegnato dalla assistente sociale alle partecipanti alla fine della giornata, contenente numeri e riferimenti dei centri antiviolenza del territorio cui ci si può rivolgere, campeggia la scritta “Tu non sei sola”. Riprendendo questo slogan e i temi emersi nell’incontro, si può dire che l’esperienza del gruppo, come antidoto alla solitudine e alla paura, si può considerare riuscita.
Di Marinella Marchini, assistente sociale Consultorio familiare Mantova