Antichi ospedali del Destra Secchia: una storia che si fonda sullo spirito di carità e accoglienza

In questo e nei prossimi numeri della rubrica ‘Come eravamo’, racconteremo la storia della sanità del Destra Secchia, pubblicando testi tratti dal libro ‘Antichi ospedali nel Destra Secchia dell’Oltrepò mantovano’, di Raffaele Ghirardi (2018, Publipaolini editore), cultore di storia e responsabile delle Attività di cure sub acute dell’ospedale di Borgo Mantovano. Il passato ci aiuta a capire il presente e a costruire il futuro.

La nascita e la persistenza di queste strutture era legata a opere di misericordia e solidarietà verso l’umanità sofferente

Una ricerca storica che abbia come oggetto gli antichi ospedali del Destra Secchia, nell’Oltrepò mantovano, appare problematica fin dalla definizione dell’area geografica presa in studio. Ostiglia infatti, sede certo di un importante ospedale, è situata sulla riva sinistra del grande fiume e anticamente ha sovente risentito dell’influenza veronese. Ma, al di là di ciò, quest’area, vagamente triangolare, per due lati presenta confini naturali con il Po a settentrione e la Secchia a occidente, ma a meridione il confine è sfumato, come indefinito lo era quando colà si estendevano acquitrini salmastri e fitte boscaglie.

Raffaele Ghirardi

Forse più definiti furono i confini politici con le Signorie dei Pico, degli Este, lo Stato Pontificio. Alle spartizioni fra le grandi abbazie di Verona, Nonantola, Reggio Emilia subentrò l’influenza della Diocesi di Mantova e poi quella civile della Signoria di Mantova e poi l’Impero asburgico ed infine, tardivamente, l’entità statuale italiana. Fare la storia degli ospedali vuol dire attraversare almeno dieci secoli di storia nel corso dei quali lo stesso termine ha significato cose diverse sia dal punto di vista strutturale, topografico, sia per quanto riguarda la finalità e la gestione. L’ospedale medievale ha ben poco a che fare con gli agglomerati affollati ed ipertecnologici che si profilano oggi ai nostri orizzonti. Un legame li accomuna, quello di costituire il luogo che accoglie quella particolare umanità che soffre per la malattia.

Fino alla metà del secolo scorso l’ospedalizzazione costituiva un evento importante nella storia di un individuo ed anche nel contesto sociale ove viveva; era consuetudine che il malato fosse curato al domicilio, affidato al medico condotto. Oggi l’ospedalizzazione, sovente inappropriata, costituisce un fenomeno abituale e già si studia la dinamica dei ricoveri ripetuti da parte degli esperti della gestione delle risorse e della programmazione sanitaria. Il percorso di ricerca è stato difficile soprattutto per la relativa penuria e la non facile decifrazione di fonti documentali per quanto riguarda l’antichità, viceversa l’abbondanza di documenti, per quanto riguarda le epoche più recenti, poneva problemi di dispersione e smarrimento di una linea di indagine coerente.

Alcuni ospedali sono sopravvissuti fino all’epoca della loro recente disattivazione per scelte di programmazione di una rete ospedaliera più efficiente e moderna, altri sono scomparsi o hanno avuto una vita provvisoria, come i lazzaretti, altri non sono riusciti a rinascere. Comunque costante appare lo spirito che ne ha permesso la nascita e la persistenza e cioè quello della “carità” intesa nel suo primitivo significato di amore fraterno da tradursi in opere di misericordia e di solidarietà di chi tanto aveva, ma anche di chi il poco donava. Questo può forse spiegare e in parte giustificare quei moti, forse frettolosamente definiti “campanilistici”, senz’altro anacronistici, di chi voleva conservare l’ospedale del proprio paese.

Fare la storia degli ospedali vuol anche dire registrare sconvolgimenti politici, economici, amministrativi, demografici; vuol dire registrare storie di guerre e di dominazioni, di conflitti sociali, di miseria e carestie conseguenti a cataclismi naturali come le ricorrenti inondazioni ed infine la storia delle malattie che di tutto questo costituiscono la riprova. Forse vuol dire fare la storia “tout court”, la storia di una terra che seppur transitoriamente è sentita come propria.

di Raffaele Ghirardi, responsabile Attività di cure sub acute Borgo Mantovano

Nella foto, la Rocca di Ostiglia. Archivio di Stato di Mantova, Archivio  Gonzaga, busta 90, c. 76, inizio secolo XVII, disegno a penna , inchiostro bruno e acquerello monocolore eseguito da Domenico Pennacchio, 42,7×57,3.

 

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