Il tempo della comunicazione fra medico e paziente è tempo di cura: riprendiamocelo

La relazione e il dialogo con il malato sono alla base di un’assistenza di qualità: ne derivano sicurezza e soddisfazione

Daniela Pasquali

Per quanto riguarda il tema della comunicazione tra personale sanitario e cittadini, un aspetto ricorrente e molto presente è quello riferito al tempo che rende più difficile la relazione e il dialogo con il paziente: componenti essenziali di base della cura, dell’assistenza e della loro qualità. Il contesto lavorativo sanitario è caratterizzato da enormi volumi di accesso alle strutture di utenti, da innumerevoli relazioni e da costanti richieste di informazioni che necessitano risposte repentine; il tutto in un ambiente dove scarseggiano medici, personale sanitario e tecnico sovraccaricato di lavoro e che deve attenersi a cambiamenti sia organizzativi che normativi. Aspetti che inevitabilmente contribuiscono a far sì che il tempo a disposizione, per gli operatori non sia mai abbastanza. La mancanza di tempo frequentemente viene considerata come la principale causa di una comunicazione inefficace con l’assistito. Tuttavia se non impariamo a utilizzare la comunicazione in maniera ottimale, useremo il tempo nella maniera peggiore.

A tal proposito, dal punto di vista legislativo, l‘approccio dialogico è riconosciuto dalla Legge 219 del 2017, “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”. L‘articolo 1 comma 8 recita che “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura“.

Così come l’articolo 20 del Codice di Deontologia Medica del 2014, stabilisce che “Il medico nella relazione persegue l’alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un’informazione comprensibile e completa, considerando l’informazione quale tempo di cura”.

Rispetto alla professione infermieristica, non meno importante, dal 2019 nel Codice Deontologico degli Infermieri, l’articolo 4, capo 1, si dichiara che: “Nell’agire professionale l’infermiere stabilisce una relazione di cura, utilizzando anche l’ascolto e il dialogo. Il tempo di relazione è tempo di cura”.

Alla luce di quanto sopra descritto è doveroso tenere presente che il tempo che manca è tempo professionale e come tale va tenuto in considerazione e ricercato. L’uomo al centro, la personalizzazione e umanizzazione dell’assistenza e della cura dovrebbero partire soprattutto dall’ascolto e l’ascolto attivo dell’altro e di noi stessi è ciò che ci fa risparmiare tempo. Tempo e ascolto risultano così essere elementi costantemente in relazione tra loro e nella relazione operatore sanitario-paziente sono aspetti su cui si dovrebbe indirizzare maggiore attenzione.

È ormai noto ai professionisti della salute e come sostenuto da evidenze scientifiche che le caratteristiche delle relazioni instaurate con le persone assistite e i care giver hanno un forte impatto in termini di soddisfazione del paziente, di sicurezza delle cure e di soddisfazione lavorativa oltre che ridurre sensibilmente i comportamenti aggressivi degli utenti verso i sanitari. Per cogliere i reali o potenziali bisogni espressi dagli utenti che si rivolgono agli operatori è fondamentale che gli stessi si riapproprino di queste competenze ponendosi in una posizione di ascolto, prestando attenzione a ciò che l’altro esprime con la voce e con il corpo, facendo emergere la biografia della persona che troppo spesso, per esigenze legate alla patologia in sé, viene posta in secondo piano perdendo in questo modo informazioni utili e importanti.

Il tempo di relazione, inteso quindi come tempo di cura che si realizza con l’ascolto e il dialogo. Espressioni che ampliano il concetto di prendersi cura con l’aver cura dell’altro, qualificando il personale sanitario come garante della disponibilità ad una relazione terapeutica costruttiva ed efficace attraverso un dialogo e un ascolto critico ed empatico. Elementi imprescindibili nell’esercizio della professione di relazione di aiuto.  Anche l’essere empatici comunque non richiede più tempo che non esserlo e ci consente di ottenere risultati migliori a partire dalla soddisfazione del paziente e all’aderenza al trattamento.

L’ascoltare in toto la storia che ogni persona porta con sé, non solo di malattia ma anche di vita, il suo vissuto, emozioni, idee, interpretazioni, relazioni con persone significative e con il contesto sociale, potrebbe portare finalmente a un cambiamento culturale. Cambiamento che favorirebbe la capacità di individuare i bisogni dei cittadini e coinvolgerli attivamente, quando possibile, nella soluzione dei problemi, rendendoli liberi di assumere la responsabilità delle proprie cure, a trovare sé stessi e a realizzarsi.

Ma per permettere che tutto ciò avvenga è necessario spostare l’asse del “fare per” a “fare con”, dal “parlare a” al “parlare con” partendo dai percorsi formativi universitari dei nuovi professionisti della salute perché la vera sfida è riprendersi il tempo di cura.

A conclusione una riflessione di un cittadino che tramite lettera scrive ai professionisti di una struttura ospedaliera dell’ASST di Mantova: ʺ….per diversi giorni ho osservato ciascuno di voi nell’esercizio delle proprie professionalità,…mi piacerebbe essere presente nel vostro reparto per ascoltarvi perché anche voi avete bisogno di ascolto, per supportarvi nel vostro lavoro, perché anche voi dovete essere aiutati, per gratificarvi quando qualcuno non capisce le energie che spendete per far star meglio chi accogliete…ʺ.

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