Parte il progetto di screening per la prevenzione, la diagnosi e la cura nella popolazione detenuta. Grazie ai nuovi farmaci anti-HCV il virus può essere eliminato facilmente e in maniera definitiva
Un progetto per la prevenzione, la diagnosi e la cura dell’epatite C nel carcere di Mantova. Si chiama test and treat, una strategia promossa nelle principali case circondariali di Milano, a cura del responsabile di Sanità penitenziaria per la Regione Lombardia, l’infettivologo Roberto Ranieri e la sua equipe composta da Ruggero Giuliani, Teresa Sebastiani, Elisabetta Freo e Giorgia Cocca.
A partire dal mese di giugno, l’istituto di detenzione virgiliano proporrà test di screening ai nuovi detenuti e alla popolazione detenuta già presente, sottolineando come sia importante prestare attenzione a situazioni a rischio di contagio durante l’esperienza detentiva, ad esempio con la pratica di tatuaggi faidate.
Nel 2016 l’OMS ha fissato come obiettivo l’eliminazione del virus HCV entro il 2030. Grazie allo sviluppo di una terapia farmacologica efficace, i nuovi agenti antivirali diretti (DAAs), il traguardo appare concretizzabile. È essenziale, anche e soprattutto per questo, non trascurare le sottopopolazioni a maggior rischio, in particolare quella carceraria e dei SERD, nelle quali prevenzione e trattamento dell’epatite C possono essere fondamentali.
Il trattamento e la cura dei detenuti permettono, oltre a garantire equità e inclusione con il resto del sistema sanitario nazionale, di operare un intervento di prevenzione primaria volta a ridurre il rischio di contagio quando i detenuti tornano nella comunità esterna.
I risultati sull’andamento del trattamento dell’HCV nel biennio 2017-2018 nel carcere di detenzione di Opera e San Vittore, presentati alla conferenza italiana sull’AIDS e sulla ricerca sui farmaci antivirali (ICAR 2019) mostrano un aumento della copertura del trattamento con i DAAs e una significativa diminuzione del pool di individui viremici. Lo screening per HCV è stato offerto a tutti i detenuti, raggiungendo un alto tasso di copertura in entrambi gli anni.
Nei penitenziari milanesi nell’ultimo semestre del 2019 si sono reclutati quei pazienti che non essendo stati sottoposti a prelievo ematico (turn-over elevato nelle case circondariali con brevi permanenze o semplice rifiuto al prelievo ematico) non erano stati coinvolti nello screening per l’epatite C.
La somministrazione di test salivari è stata accolta da 1.800 ristretti di cui 700 stranieri; 760 avevano una diagnosi di tossicodipendenza. Il dato che emerge è che 11 per cento è positivo, il 25 per cento di questo 11 per cento viremico (presenza di HCV RNA quindi di malattia attiva) e candidato a terapia eradicante.
Un risultato ha dato un’importante conferma della riduzione del pool viremico e di conseguenza del rischio di trasmissione all’interno della popolazione carceraria.
Tale metodologia di lavoro verrà assimilata dalla casa circondariale di Mantova a dimostrazione di quanto sia importante avere conoscenza della malattia per intraprendere precocemente la terapia eradicante con i DAAs che grazie a cicli terapeutici di poche settimane, con effetti collaterali minimi o assenti, risulta efficace in circa il 98 per cento dei casi.
Nel 2019 tra la popolazione detenuta a Mantova si sono registrati 12 pazienti positivi per Hcv, tutti viremici, circa l’8-10 per centro delle presenze medie, tutti sottoposti a trattamento con i DAAs. Il 100 per cento di queste persone è guarito senza eventi avversi dovuti alla terapia. Tale percentuale di positività e successo terapeutico si è mantenuta anche nel 2020.
Da gennaio 2021 sono già stati diagnosticati 4 casi, il 50 per cento stranieri, il 75 per cento in carico al SERD; lo screening ematico all’ingresso viene accettato nella maggioranza dei casi (90-95 per cento circa), il restante 5-10 per cento verrà indirizzato al test salivare.