Il Covid al cinema: “Le lacrime e gli sguardi degli operatori ci hanno toccato”

Il regista Mario d’Anna racconta il docu-film girato al Poma: “Volevamo capire come questa esperienza ha cambiato i suoi protagonisti”

Emozioni, parole non dette che ora affiorano sulle labbra dei professionisti e dei pazienti. I protagonisti dell’emergenza si raccontano nel docu-film Covidays: l’onda, firmato dai registi Mario d’Anna e Stefano Mangoni. Un progetto che intende salvare la memoria dei giorni più difficili della pandemia. La seconda ondata ha fermato anche le riprese, iniziate a settembre: si conta di ricominciare a marzo. Una formula originale per il prodotto cinematografico, composto da un documentario a cui hanno preso parte circa 40 persone fra operatori ed ex malati e un cortometraggio ambientato in gran parte nel 1943. A pochi giorni dal lancio del primo trailer, Mario d’Anna parla dell’iniziativa. Che ha l’ambizione si superare i confini mantovani.

Come è nata l’idea?
Fra marzo e aprile, nel periodo più critico dell’emergenza, continuavo a chiedermi cosa avrei potuto fare per dare una mano all’ospedale. Così ho pensato di mettere in campo la mia professionalità per offrire un contributo alla memoria di questo dramma. Bisognava partire nel più breve tempo possibile, così che potesse restare ancora fresca la dimensione più emotiva dell’esperienza. Proprio ciò che interessava maggiormente a me e a Stefano. Non tanto i fatti, che tutti conosciamo, quanto il modo in cui i fatti hanno cambiato le persone, smuovendole nel profondo.

E hai riscontrato le emozioni che ti aspettavi nei professionisti?
Trovandosi di fronte alla telecamera, nell’atmosfera intima della stanza in cui abbiamo allestito il set, gli operatori si sono emozionati. Alcuni hanno pianto e non si aspettavano la loro stessa reazione. Hanno inoltre rivisto il loro vissuto con occhi diversi. Abbiamo girato 7 ore di interviste, da condensare in circa 70 minuti di documentario, ai quali si aggiungeranno 20 minuti di corto.

Cosa ti ha colpito di più?
Sicuramente l’importanza attribuita agli sguardi fra operatori e pazienti, una forma di comunicazione predominante e anche una forma di cura. Poi la riscoperta dei valori semplici della vita, dei piccoli gesti quotidiani che prima del Covid si davano magari per scontati e di cui siamo stati privati. Mi sono rimasti  particolarmente impressi anche i racconti sui momenti terminali della vita: il modo in cui infermieri e medici si sostituivano alla famiglia dei malati, diventavano loro stessi famiglia per chi assistevano. È il documentario più importante e coinvolgente della mia carriera. Mentre montavo le immagini tutto il mondo parlava della seconda ondata. Pensavo solo all’epidemia, sia lavorando che vivendo.

Purtroppo il Covid vi ha fermati, allungando i tempi.
Già, abbiamo dovuto sospendere le riprese a causa della seconda ondata, ma contiamo di rimetterci all’opera verso il mese di marzo e terminare entro la primavera. La proiezione al cinema è prevista per l’estate. Ma vorremmo anche partecipare a concorsi internazionali, puntiamo sull’originalità del lavoro. Il cortometraggio, che vede in scena attori professionisti, sarà ambientato in parte all’ospedale di Mantova e in parte fuori: una soffitta di Mantova e alcuni esterni già girati a Solferino. Il progetto ha il sostegno di vari partner – ASST, MySound, Strongvilla, Fondazione Comunità Mantovana, Domus Immobiliare – il patrocinio di Mantova Film Commission e la collaborazione di Ars Creazione e Spettacolo.

Questa esperienza ha cambiato anche i registi?…
Ci ha cambiati molto, ci ha fatto scoprire degli aspetti nuovi della vicenda, che potevano solo immaginare. Ho incontrato operatori che hanno dato tutto, andando oltre il proprio dovere. E adesso che siamo immersi nella seconda ondata, possiamo capire meglio cosa significa lavorare in prima linea, essere in prima linea, sia come pazienti che come professionisti. Il docufilm ha l’obiettivo di trasmettere questa consapevolezza a chi lo guarderà. Se tutto ciò che raccontiamo fosse stato compreso prima dalla popolazione, molti comportamenti superficiali e dannosi sarebbero stati evitati.

Elena Miglioli è il direttore del periodico Mantova Salute, responsabile dell’Area Ufficio Stampa, Comunicazione e Urp ASST di Mantova. Giornalista professionista, scrittrice, poetessa. Ama tutte le forme d’arte, ma mette la musica (classica) al primo posto.

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