Febbre del Nilo, Usutu, Dengue: le Arbovirosi fra prevenzione, diagnosi e sperimentazione delle terapie antivirali

Il serbatoio naturale dell’infezione è costituito da alcune specie di uccelli. La gravità o meno della sintomatologia varia a seconda dei virus, nonché dell’età e fragilità dei pazienti

Le infezioni virali trasmesse da invertebrati appartenenti al Phylum degli artropodi (arthropode-borne) vengono definite Arbovirosi. Esse sono infezioni in cui il vettore morde l’uomo per cibarsi del sangue e contestualmente inocula il virus patogeno. Gli artropodi possono essere di varie specie, come zanzare, zecche, pappataci, mentre i virus da essi trasmissibili sono numerosi. Tra questi, alcuni sono stabilmente presenti in Italia, da tempo variabile, come i virus che determinano la Febbre del Nilo, l’Usutu e la Dengue.

La Febbre del Nilo è determinata dal virus West Nile (WNV), trasmesso con la puntura di zanzara del genere Culex, ben diffusa alle nostre latitudini e che abitualmente è attiva dopo il crepuscolo e nel corso della notte. Il virus fu isolato in Uganda nel 1937, è un virus a RNA e determina una malattia endemica in Italia, con probabilità di trasmissione variabile nelle varie aree geografiche ma particolarmente elevata in Pianura Padana.

Il serbatoio naturale dell’infezione è costituito da alcune specie di uccelli in particolare, in Italia, la gazza (Pica pica), la cornacchia grigia (Corvus corone cornix) e la ghiandaia (Garrulus glandarius). La zanzara che morde un uccello infetto si infetta a sua volta e alla successiva puntura può infettare l’uomo o un altro mammifero, in particolare gli equini. Sia nel caso dell’uomo, che degli equini si parla di ospite terminale, in quanto la carica virale nel sangue è in questi casi relativamente scarsa e persiste per poco tempo, per cui è molto raro che con ulteriori nuovi morsi di zanzara si possano infettare nuovi soggetti.

La malattia, dopo un periodo di incubazione variabile da pochi giorni fino a 3 settimane, si manifesta quasi sempre in modo lieve o addirittura asintomatico. Quando è invece presente una sintomatologia, nel 20 per cento dei casi si tratta di sintomi lievi, come febbricola, cefalea moderata, tumefazione linfonodale, a volte rash cutaneo. In questi casi i sintomi regrediscono in pochi giorni.

Nelle persone anziane e nei pazienti fragili è più frequente un quadro clinico significativo e, in generale, nello 0.5-1 per cento dei casi, può comparire una sintomatologia neurologica anche severa (disorientamento, tremori, disturbi della vista, convulsioni, sopore, coma). In questi casi sono possibili danni permanenti ed anche l’exitus (circa 1 paziente su 1000).

La diagnosi di Febbre del Nilo è laboratoristica, attraverso la ricerca di anticorpi e di RNA virale in vari materiali biologici: sangue, eventualmente liquor cefalo-rachidiano e soprattutto urine, in cui le tracce dell’infezione permangono più a lungo. Non esiste alcuna terapia consolidata diretta contro il virus, anche se sono in corso sperimentazioni con alcuni antivirali. Al momento il trattamento consiste nella terapia sintomatica e nella gestione delle complicanze.

L’Usutu è una patologia distinta dalla Febbre del Nilo, provocata dal virus Usutu (USUV), isolato in Swaziland nel 1959. Anch’esso è un virus a RNA e presenta epidemiologia, vettori di trasmissione e serbatoi animali simili a WNV ma ancora più raramente di quest’ultimo provoca forme cliniche manifeste. Per i casi di infezione da WNV, queste infezioni sono in progressivo aumento nella popolazione, come conseguenza in particolare del cambiamento climatico. Infatti, l’aumento generale della temperatura porta da un lato ad una maggiore estensione delle aree favorevoli allo sviluppo degli artropodi e dall’altro a un allungamento della stagionalità in cui gli artropodi stessi sono attivi. A ciò si aggiungono poi altri fattori, quali la minor presenza dei predatori naturali delle zanzare (pipistrelli, rondini, e così via) e la notevole densità abitativa umana e animale, esistente in alcune aree endemiche, come ad esempio la Pianura Padana

Se nel caso di WNV e da USUV l’effetto del cambiamento climatico ha soprattutto determinato recentemente un aumento dei casi (sono patologie ormai endemiche), per quanto riguardala Dengue, invece, il climate change è l’attore del recente cambiamento epidemiologico. Infatti, fino al 2019 non erano mai stati registrati in Italia casi autoctoni di malattia ma solo infezioni in persone provenienti da Aree Tropicali. Ora, invece, la malattia è presente sul territorio nazionale con incidenza crescente, tant’è che nel 2024 si sono verificati casi nelle Marche (143), in Emilia Romagna (35), Abruzzo (15), Lombardia (12), Veneto e Toscana. Il vettore principale, la zanzara Aedes aegypti, non è presente in Italia, ma la malattia è trasmessa, sia pure con minore efficienza, anche da Aedes albopictus (“zanzara tigre”), che è invece diffusamente presente in Italia da oltre 30 anni. La combinazione tra casi di importazione (che possono a loro volta essere fonte di trasmissione con il morso di zanzara), presenza del vettore e migliori condizioni ambientali per le zanzare ha provocato il verificarsi di casi autoctoni.

Dopo circa una settimana dal morso, la malattia esordisce con febbre, anche molto elevata, accompagnata da cefalea intensa, dolore retro orbitario, artromialgie intense (“febbre spaccaossa”), nausea, vomito e frequentemente rash cutaneo. La sintomatologia è comunque variabile e può essere anche attenuata o assente, in particolare in età pediatrica. All’opposto, la malattia può anche svilupparsi sotto forma di grave febbre emorragica, con possibile shock e morte. Per una particolare reazione immunitaria (Enhanced Dengue Pathogenesis), questa eventualità è più frequente nelle persone che presentino la malattia per la seconda volta. Nelle zone a più alta endemia la diagnosi è normalmente clinica ma è comunque possibile la ricerca di frammenti virali e di anticorpi specifici nel sangue, che è invece di regola necessaria presso i Paesi a più bassa endemia, come l’Italia.

Approvato dall’EMA nel 2022, dal 2023 è disponibile un vaccino vivo attenuato per la prevenzione della Dengue. Un secondo vaccino, non commercializzato in Italia, è indicato solo per persone residenti in aree endemiche e che abbiano avuto una precedente infezione. In generale, la prevenzione delle Arbovirosi si basa su: sorveglianza dei casi, umani, animali e nei vettori; lotta ai vettori, secondo protocolli di disinfestazione ma anche con informazione della popolazione e impiego di repellenti; corretta diagnosi, che significa soprattutto diagnosi dei casi lievi, che spesso sfuggono; profilassi vaccinale (nel caso della Dengue).

In particolare, la sorveglianza, che si sviluppa nel corso delle stagioni in base all’incidenza dei casi (maggiore nei mesi caldi), prevede un consistente finanziamento pubblico, volto anche a favorire la diagnosi di laboratorio, cui sono preposti alcuni Centri di riferimento (in Lombardia Policlinico San Matteo di Pavia e Ospedale Luigi Sacco di Milano). Dal momento che la sintomatologia delle Arbovirosi è aspecifica e di gravità molto variabile, sarebbe opportuno che gli accertamenti necessari venissero eseguiti più spesso di quanto avviene in realtà e soprattutto presso Pronto Soccorsi e medici di medicina generale, che più spesso gestiscono i casi di minore gravità.

Di Salvatore Casari, direttore struttura Malattie Infettive Asst Mantova

 

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