Il 22 febbraio 1932 fu firmato dal re Vittorio Emanuele III, e controfirmato dal capo del governo Benito Mussolini, lo “Statuto organico dell’ospedale civile di Ostiglia”
In questo e nei prossimi numeri della rubrica ‘Come eravamo’, racconteremo la storia della sanità del Destra Secchia, pubblicando testi tratti dal libro ‘Antichi ospedali nel Destra Secchia dell’Oltrepò mantovano’, di Raffaele Ghirardi (2018, Publipaolini editore), cultore di storia e responsabile delle Attività di cure sub acute dell’ospedale di Borgo Mantovano. Il passato ci aiuta a capire il presente e a costruire il futuro. Continua di seguito la storia dell’ospedale di Ostiglia, dopo le puntate pubblicate sui numeri precedenti del magazine.
Al dicembre 1926 l’ospedale era così organizzato: il reparto di medicina era affidata ad uno dei medici condotti del paese, al quale era affidata la direzione dell’ospedale stesso; l’attività chirurgica ed ostetrico-ginecologica era svolta da un chirurgo che prestava servizio due volte alla settimana e che peraltro non era tenuto a risiedere nel Comune; egli era assistito, nel suo ruolo, da un altro medico condotto del paese.
Il Presidente della Congregazione di Carità, in una informativa rivolta al Prefetto, esprimeva preoccupazione sullo stato di organizzazione dell’ospedale ed in particolare per quanto riguardava la chirurgia. Tale situazione non poteva essere di garanzia qualora si presentassero emergenze chirurgiche, tra l’altro in un paese importante come Ostiglia. Ciò inoltre era fonte di sfiducia nei cittadini, specie quelli che si potevano permettere il pagamento delle cure e che infatti tendevano a disertare l’ospedale. La Congregazione si impegnava dunque a stabilizzare il personale medico proponendo una riorganizzazione dei servizi radiologici e di laboratorio onde garantire una continuità assistenziale.
L’opera religiosa era svolta da un cappellano residente all’interno dello stabilimento ospedaliero così come erano ospitate le suore di San Vincenzo de’ Paoli con la madre superiora. Le religiose si occupavano della pulizia dei locali, dell’assistenza e della cura dei malati intervenendo anche negli interventi chirurgici e nelle medicazioni, erano impiegate nella preparazione e distribuzione dei pasti, nella gestione del guardaroba e nella manutenzione della cappella. Il personale laico era costituito da tre infermieri per il reparto maschile e da quattro infermiere per quello femminile. Tra il personale non sanitario figurava un portinaio, due inservienti per la cucina, due donne addette alla lavanderia e al guardaroba. L’ospedale era munito di una autolettiga con autista.
Il 22 febbraio 1932 veniva firmato da S.M. Vittorio Emanuele III, e controfirmato dal capo del governo Benito Mussolini, lo “Statuto organico dell’ospedale civile di Ostiglia”, elaborato dalla Congregazione di Carità cittadina. Si trattava di diciassette articoli ove venivano enunciati gli scopi dell’istituzione. L’opera di cura e di assistenza era rivolta soprattutto ai malati indigenti affetti da “malattia acuta o cronica guaribile”, residenti nel Comune. Erano previsti ricoveri anche per abbienti, previo esborso di una retta. Veniva spiegata l’apparente contraddizione di malattia cronica guaribile specificando che il ricovero era giustificato a fronte di una riacutizzazione di malattia cronica. I malati affetti da morbi contagiosi erano accettati solamente se si poteva assicurare un adeguato isolamento. Con una missiva del 2 novembre del 1932, indirizzate al Presidente della Congregazione di Carità e al Podestà del Comune, il Consorzio Provinciale Antitubercolare di Mantova chiedeva di individuare un’area, contigua all’ospedale e di sua proprietà, da destinare alla costruzione di un padiglione per il dispensario antitubercolare circondariale, secondo le direttive del Ministro dell’Interno. La lettera faceva riferimento a una precedente sperimentazione già effettuata presso l’ospedale. Già le Congregazioni di Carità di Asola e Suzzara avevano aderito a questa istanza.
L’11 gennaio dell’anno successivo il Presidente inviava al Podestà i disegni del progetto della nuova costruzione sollecitando le procedure per iniziare l’opera che fu inaugurata il 28 ottobre del 1934 ed aperta al pubblico il 6 novembre successivo. Era gestito da personale medico specializzato dipendente direttamente dal Consorzio Provinciale Antitubercolare e vi accedevano persone già affette da tubercolosi o sospette di esserlo, persone esposte a rischio di contagio ed infine i fanciulli che potevano trarre beneficio dal soggiorno in colonie climatiche.
Nella fotografia in homepage le vetrate della cappella della Madonna dell’Immacolata, nell’articolo l’autore dell’articolo Raffaele Ghirardi