Protocollo elaborato da un gruppo di professionisti del Poma e approvato da Aifa
Sulla base dei riscontri autoptici e della letteratura finora esistente, gli specialisti dell’ASST hanno introdotto un protocollo terapeutico condiviso con altri centri lombardi e approvato da Aifa. Il documento prevede un dosaggio integrativo di anticoagulanti – l’eparina – per la profilassi di trombosi ed embolie che si possono manifestare come complicanze nei pazienti colpiti da Covid. Il comitato scientifico che lo ha elaborato è coordinato da Stefano Pirrelli (in foto), direttore della Chirurgia Vascolare di ASST Mantova. Ne fanno parte i direttori di Terapia Intensiva, Pronto Soccorso, Medicina Trasfusionale, Cardiologia, Radiologia, Laboratorio, Medicina Generale. Approfondisce l’argomento Stefano Pirrelli.
È emerso che il Coronavirus può portare complicanze trombotiche ed embolitiche. Può illustrarle?
Stiamo imparando a conoscere questa malattia giorno dopo giorno. Dagli studi autoptici e clinici sembra accertato che ci sia una tendenza alle trombosi molto aumentata, dimostrata nei pazienti risultati positivi all’infezione. Tale tendenza alla trombosi è differente da quanto si è riscontrato in passato in altre forme virali. Cambiano i markers umorali: il fibrinogeno risulta alto (quindi non si tratta di una coagulazione intravascolare disseminata, nota complicanza delle sepsi), così come il d-dimero (dato che risulta sempre innalzato nelle trombosi anche se non specifico di queste) e il numero delle piastrine all’emocromo è normale o solo lievemente diminuito. Si riscontra una incidenza di trombosi venose profonde asintomatiche nel 30 per cento dei pazienti in UTIR o Terapia Intensiva con evidenza di trombosi attorno ai cateteri inseriti nei vasi sanguigni (come il catetere venoso centrale). Negli studi autoptici pubblicati vi è evidenza di embolia polmonare e microtrombosi polmonari in assenza di segni di vasculite: è stato ipotizzato che si tratti di un danno endoteliale (rivestimento interno dei vasi sanguigni) secondario all’infezione. In più ci sono molte trombosi anche nel versante arterioso e coronarico. Queste trombosi è che sono molto estese e tenaci, difficili da sciogliere. Quindi sembrerebbe che accanto al coinvolgimento infiammatorio sistemico e del polmone il COVID-19 sia in grado di scatenare una attivazione della coagulazione così marcata da condizionare trombosi diffuse ed embolie che verosimilmente condizionano il rapido, improvviso peggioramento del decorso clinico.
Come si è affrontata questa problematica in azienda?
Sin dall’inizio dell’emergenza abbiamo avuto con alcuni colleghi di Mantova e degli ospedali di Brescia, Parma, Milano, Pavia uno scambio di pubblicazioni scientifiche sull’argomento. Ed è subito apparso chiaro che l’approccio terapeutico avrebbe dovuto essere indirizzato sia sul versante classico, con la somministrazione di antivirali e antinfiammatori, che sul versante coagulativo. Pertanto, in questo gruppo abbiamo cominciato a inserire in terapia i normali anticoagulanti che vengono utilizzati nella profilassi della trombosi post-operatorie e che vengono dati a ogni paziente (eparina). Si è subito visto che ciò comportava un migliore risultato clinico. Il problema è stato decidere il dosaggio, poiché non esistevano studi clinici sull’argomento. Abbiamo quindi messo a punto il protocollo di studio HE.RO STUDY (HEparin Recommended Over all) che coinvolge varie strutture complesse dell’Asst, chiedendo l’autorizzazione dapprima all’Unità di Crisi e successivamente al Comitato Etico. La collaborazione è stata entusiasmante, segno della grande attenzione verso questa emergenza sanitaria da parte dei medici di questa azienda.
Il ricorso agli anticoagulanti sta dando buoni risultati?
La cautela è d’obbligo. Ma mi permetterei di dire che i risultati sono molto incoraggianti. Ovviamente questa è solo una parte del problema, benché non trascurabile. Alcuni centri di terapia intensiva italiani utilizzano dosaggi profilattici, doppia dose profilattica , anticoagulazione: non c’è evidence-based trial, non c’è stato il tempo, ma la maggior parte degli intensivisti ricorre a dosi doppie o piene, pochi quelle profilattiche, segno che si fidano di più e i pazienti vanno meglio. Appena otterremo l’autorizzazione del Comitato Etico riusciremo a partire con questo studio che è estremamente innovativo e che potrà offrire interessanti prospettive terapeutiche nell’immediato futuro.